The Beggar’s Opera travolge il Teatro Verdi di Pisa

Robert Carsen firma la regia della settecentesca opera di John Gay, e la satira si immerge genialmente nell'oggi

Beggar's Opera photo Patrick Berger

Un’ondata elettrizzante carica di energia ha sommerso il Teatro Verdi di Pisa per un’inaugurazione di stagione davvero magnifica con The Beggar’s Opera firmata Robert Carsen.

L’antecedente del musical, scritta da John Gay nel 1728, seppur intrisa di arie barocche attribuite a Purcell o Handel, assemblate ed orchestrate con acume all’epoca da Johann Christoph Pepusch, fa suo quel patrimonio di affilata satira sociale e politica che la rese già ai suoi tempi un prorompente successo, divenendo nel corso dei secoli ispirazione per adattamenti teatrali, musicali e cinematografici: tra tutti ricordiamo l’emblematica Opera da tre soldi di Brecht.

Ed il famoso regista canadese Robert Carsen, coadiuvato da William Christie, direttore e clavicembalista fondatore e direttore del gruppo parigino Les Arts Florissants, danno alla ballad-opera una vigorosa e geniale svolta contemporanea, scrollandole di dosso quell’apparente patina barocca accumulata nel corso dei secoli ed aiutandola a riacquistare quell’antica giovane carica adrenalinica che le era così congeniale grazie ad un linguaggio tagliente e diretto, perfettamente a suo agio nell’oggi, tra Brexit, forti tensioni politiche ed una volitiva borsa, riscritto dal drammaturgo Ian Burton.

Beggar’s Opera photo Maria Laura Antonelli

E quello che travolge letteralmente lo stupito ed entusiasta pubblico in sala, smuovendo anche gli animi più assopiti, è la riscoperta di un mondo di bassifondi e volgarità, tra ladri, prostitute e cocainomani, raccontato con toni sarcastici e pungenti da un gruppo di interpreti davvero unico, performers a 360° capaci di cantare, ballare, recitare e lanciarsi in vorticosi slanci acrobatici con una bravura in tutti i campi che lascia senza fiato.

A partire da Robert Burt nei panni del senza scrupoli Mr. Peachum, imbroglione di primo pelo a capo di una banda di malviventi, capace di vendersi l’anima pur di arricchirsi, perché, come canta all’inzio del terzo atto, ‘i leoni, i lupi e gli avvoltoi non vivono insieme in branchi, frotte o greggi. Di tutti gli animali da preda, l’uomo è l’unico socievole. Ognuno di noi preda il suo vicino, eppure ci raduniamo insieme’. Ecco allora andare a braccetto (si fa per dire!) con l’altrettanto corrotto Lockit di Kraig Thornber, in duetti e scene esilaranti di confidenti cocainomani sempre pronti a farsi lo sgambetto. Esilarante Beverly Klein nel doppio ruolo Mrs. Peachum/Diana Trapes, che senza timore si mette in mostra con moine e sotterfugi per raggiungere i propri piaceri e fini. Brillante e spregiudicato il Macheath di Benjamin Purkiss, pieno di voglie insaziabili, i cui desideri sessuali si trasformano in un harem di mogli infelici, a partire dalla giovane ma non ingenua Polly di Kate Batter, alla scaltra ma, ahimè, incinta Lucy Lockit di Olivia Brereton.

Un universo privo di scrupoli e moralità, dove vige la legge del più scaltro, e dove un inatteso coup de theatre porta il lieto fine, evitando il patibolo e ponendo il ladro dei ladri nientedimeno che a capo del Ministro della Giustizia.

Ingegnose le scenografie rese da scatoloni di cartone assemblate che ora ricordano magazzini di oggetti rubati, ora si aprono in porte e camere da letto, ora prendono le fattezze di tavoli e sedie, fino a ricoprire persino il ruolo di leggio: un gioco di scatole semplicemente geniale, che riutilizza sapientemente semplici oggetti di uso comune.

Plauso non in ultimo ma in primis, anche all’Ensemble Les Arts Florissants, che si immette nella scena come parte della gang, mostrando, dopo l’ingresso in corsa tra il pubblico, i propri strumenti quasi come merce rubata e presentandosi con un look aggressivo (jeans, pantaloni strappati, occhiali da sole, cappellino da baseball, tatuaggi, capelli colorati), con iPad come spartiti: una coerenza drammaturgica dunque estrema, che non esime nessuno, e, forte del contrasto con le musiche settecentesche brillantemente eseguite, rafforza la potenza dell’opera e la sua travolgente satira.

Gli applausi sono interminabili per una produzione capace di lasciare il segno.

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