La vedova allegra di Franz Lehár veste anni ’50 al Teatro dell’Opera di Roma

Fino al 20 aprile per la regia di Damiano Michieletto

Ad aprire la scena è Kromow, in una valigetta sul boccascena rinviene il ventaglio che ha smarrito Valencienne sul quale è scritto “Ti amo”regalatole da Camille.

C‘è festa alla Pontevedro Bank per il compleanno del re e fervono il preparativi del ballo organizzato dal barone Mirko Zeta. Camille de Rossillon corteggia Valencienne, moglie dell’ambasciatore che però non ha alcuna intenzione di tradire il marito. Non le interessano le relazioni fugaci e senza sostanza. L’arrivo di Hanna Glawari, da il senso alla trama. Ella da poco rimasta vedova del banchiere, potrebbe portar via le sue ricchezze dall’ente creditizio: questo va scongiurato! Nella ricerca del pretendente le attenzioni cadono sul conte Danilo Danilowitsch, il tenore Paulo Szott che poco gradisce tali progetti incline com’è a bere e sbronzarsi al locale parigino a lui tanto caro, il famoso “Chéz Maxim’s”.

Eccola ella l’avvincente, avvenente ed abile show-girl il soprano Nadja Mchantaf, in celeste tenue una ricca vedova appunto corteggiata da tutta la banca affinché non scappi altrove con tutte le sue fortune, mettendo in crisi il regno dei Pontevetro appunto. Danilo viene presentato ad Hanna, ma i due già si conoscono egli era già innamorato di lei quando ancora era una contadina, ma anche ora la evita per non cadere nella taccia di interesse nella relazione che la banca gli ha dato in missione. Il corteggiamento spasmodico verso la vedova fanno la scena che introduce al ballo. E se Camille si apparta con un signora il gelosissimo Kromow teme sia la moglie ma in effetti è Valencienne, chiede la chiusura delle porte del palazzo di Hanna dove ha luogo la festa e quindi il ballo, ma l’abile Njegus, impiegato di cancelleria dell’armata pontevedrina riesce, nonostante il guardingo fare del consigliere, a far si che la vedova accetti di sostituirsi a Valencienne. Eccola tutta in blue royale in queste scene di cotanta voluttà.

Sì qui è l’annuncio del suo fidanzamento con Camille de Rossillon, che, per non compromettere Valencienne, ‘mangia la foglia’. E siamo al ballo tutto piume e colori nel giardino di Hanna: uno scatenato can-can di grandissimo livello scenico e artistico cui la brava soprano mostra di esserne degna interprete, nonchè protagonista arricchendo la sua presenza scenica con notevoli abilità coreografiche alle già provate vocali che l’hanno portata in scena in questo contesto a regia avvincente e interessante di Damiano Michieletto. Bellissimi i colori e le scene benché riportate agli anni ’50, con decorosa valenza. E se “..è scabroso studiar le donne..” dice la marcia del secondo atto la morale porta ad una donna onesta ed anche questo è nei brani cantati dell’operetta di nuovo accolta nel paludato palco melodrammatico della Capitale.

Si Hanna ora in tailleur giallo albume dichiara di aver sostituito Valencienne per salvarne la reputazione e sull’amore ormai palese di Danilo e Hanna riappare il ventaglio. Da un lato ha iscritto “ Ti amo” e dall’altro “Io sono una donna onesta” e se la morale è salva agli occhi del barone Zeta che non ha più da dubitare, la tresca con Camille può ricominciare. E se nel testamento del banchiere, del quale Hanna è vedova, si dispone che in caso di nuove nozze l’eredità sarebbe andata persa, il matrimonio di Danilo con lei può avere giusto epilogo. La protagonista è di nuovo povera. Le finanze del regno sono salve, ma una seconda clausola del medesimo testamento garantisce al nuovo marito l’eredità. E per il convenzionale lieto fine: Hanna e Danilo possono coronare il loro amore e far si che l’applauso venga a cotanta storia e tripudio di colori in scena al Teatro dell’Opera e alla direzione orchestrale vezzosa quale è giusto che sia di Constantin Trinks e ai policromatici costumi nelle tonalità pastello di Carla Teti.