
Il piccolo Marcello avrebbe mai pensato di diventare un noto baritono ed uno stimato Direttore Artistico? Cosa avrebbe voluto fare da grande…?
Assolutamente no. Il piccolo Marcello, pur essendo nato da una famiglia colta e molto amante dell’opera, specialmente mio padre e mio nonno, non aveva la minima idea di cosa fossero l’opera e i teatri almeno fino alle scuole superiori, quando ci fu l’incontro assolutamente sconvolgente con il teatro di prosa al Piccolo di Milano, città nella quale viveva. Fino ad allora l’opera erano per me urla fastidiose alla radio la domenica pomeriggio, mentre cercavo di studiare o giocavo sereno in un’altra stanza. Da grande almeno fino alle medie avrei voluto fare il calciatore, come penso gran parte dei ragazzi, poi lo scrittore di teatro, una delle cose che poi feci, molti anni dopo, sotto pseudonimo.
….e la musica, ed in particolar modo la musica lirica, com’è entrata nella sua vita?
A ruota della musica sacra che praticavo cantando in parrocchia da solista: avevano trovato in me, ragazzo, una bella voce. Ricordo che feci l’ammissione in conservatorio non con l’idea di cantare opera ma di migliorare le mie qualità vocali per incidere cd di canzonette. Fu al conservatorio di Genova che cominciai a cantare ed ascoltare opera e me ne innamorai.
Dal suo curriculum “didattico” leggo che dopo gli studi al Conservatorio ha proseguito, e perfezionato, i suoi studi con altri tre Maestri ( ndc.: Fernando Bandera, Tristano Illersberg e Giuseppe Murmura) Questo modus operandi di rivolgersi ad altri insegnanti dopo il Conservatorio (talvolta anche durante) è abbastanza comune, soprattutto negli ultimi decenni, tra i cantanti lirici. Questo cosa denota ? …forse una deficienza nella maggior parte dei Conservatori di docenti “idonei” ad insegnare la loro materia o è magari è semplicemente un’insofferenza dello studente a rimanere troppo a lungo sotto la stessa guida?
Un pittore si formerebbe guardando i quadri di un solo maestro, fosse anche uno dei più grandi? Credo che avrebbe bisogno di imparare più tecniche per decidere poi la propria. Questo vale a maggior ragione per un cantante: il cantante è a diretto contatto sempre con la propria anima; cantare non è solo un fatto tecnico. La psiche determina spesso il risultato artistico di un cantante d’opera, e spesso uno stesso suggerimento detto con parole diverse da diversi insegnanti causa reazioni differenti a seconda di come il docente riesce a farsi “capire”, cioè trova le parole e le modalità giuste perché l’alunno trasformi il suggerimento tecnico in opera d’arte. Non credo quindi che qualcuno possa essersi formato, mai, con un solo maestro: non si finisce di imparare anche quando al maestro si sostituisce l’osservazione sul palcoscenico dei colleghi famosi. Lo studente deve sempre verificare che un insegnamento gli si confaccia o meno e non c’è altro modo che provare diverse strade, diversi “stili” per tornare all’esempio iniziale, scegliendo poi o creando il proprio. Che poi ci siano insegnanti digiuni di tecnica vocale nei conservatori è purtroppo un fatto palese. Una delle voci principali per il punteggio nelle graduatorie ministeriali è data, forse giustamente, dall’anzianità di servizio per cui un docente che, appena uscito dal conservatorio ai tempi in cui pochissimi insegnavano, scelse di non fare carriera e di dedicarsi subito all’insegnamento ha ovviamente oggi un punteggio enormemente superiore a chi ha cantato per trent’anni nei maggiori teatri del mondo.
Dopo il suo debutto ne “La notte di un nevrastenico” la sua voce e la sua arte scenica l’hanno portata a calcare i palcoscenici dei più importanti teatri del mondo. Dopo tutti gli applausi che hanno accompagnato (e stanno tuttora accompagnando) la sua carriera, si volta mai indietro a ricordare…a godersi i suoi successi…e magari a pensare… “e se non fossi andato a quell’audizione? Ora dove sarei?”
Mi imbarazza leggere quello che lei scrive, il mio carattere è molto schivo: mi sono sempre vergognato degli applausi ed avrei sempre volentieri fatto a meno di uscire a riceverli. Non è per ricevere consensi che canto, ma per un bisogno, un’urgenza artistica insopprimibile, non di esprimere me stesso, (non mi riconosco un tale valore), ma di godere profondamente nel far parte d’una meravigliosa opera d’arte che, anche grazie alla mia voce, si realizza su un palcoscenico. Non dico mai a chi incontro che sono un cantante e spesso non lo si sa, non è importante per me. Quello che mi interessa, quello che perseguo, è la gioia del Bello, la felicità fisica e spirituale che dà cantare su un palcoscenico o recitare o scrivere o dirigere un teatro dando tutto te stesso sempre. Non mi fermerò mai a ricordare il passato, perché nessun momento, mi creda, è più importante di altri per me, nemmeno i maggiori successi. Non sarò mai una vecchia gloria che va in giro a ricordare quello che è stato e non è più, ma cercherò sempre in modo vorace di essere ancora, in quel momento, nella contingenza, l’unica cosa che mi interessa essere: un uomo vero.
L’opera sta diventando più visiva che acustica. Le audizioni ormai le fanno i registi; le agenzie chiedono foto e video (talvolta anche le misure) prima di files audio… Da Direttore Artistico/Cantante come valuta questo cambiamento?
Siamo nella società pirandellianamente dell’apparenza, dove non conta più ciò che si è, conta ciò che gli altri pensano che tu sia. Normale dunque la sua constatazione. L’opera ha sempre riflesso la sua epoca, anche se non sempre è storicamente stato palese. A me invece non interessa il contenitore, ma il contenuto. Ciononostante è vero che anche io preferisco da direttore artistico personaggi “giusti” per il ruolo che devono fare. Il pubblico purtroppo è stato volutamente deculturalizzato, basta vedere il livello culturale di molti politici. La crisi dell’opera è cominciata il giorno in cui gli ignoranti hanno finito di vergognarsi di esserlo ed anzi ne sono diventati orgogliosi ed hanno attaccato la cultura, ciò che li rendeva palesemente inferiori. E’ come un bambino ultimo della classe che deride il primo dicendogli “secchione” e facendogli continue angherie. Che un regista faccia audizioni è un’anomalia, ma lo è, e più grave, anche che a dirigere teatri ci siano persone totalmente digiune di musica, messe dal politico di turno, e che loro facciano audizioni o decidano programmazioni. Come cantante non mi dispiace non essere costretto a fare ruoli “inadatti” alla mia età ed alla mia fisicità, tutt’altro. Mi sento a mio agio nei panni dell’uomo maturo che sono attualmente i miei e farei fatica ad interpretare credibilmente un ragazzo sulla scena.
Lei invece cosa valuta in un’audizione? Quale consiglio darebbe ad un cantante che sta per audizionare per lei?
Di regalarmi un momento d’arte, non dei suoni. L’Audizione è una cosa difficile e sgradevole perché il cantante è sotto giudizio diretto di una persona dalla quale spera un lavoro. Non si può mai essere perfetti, anzi spesso si rende meno, perché si è viaggiato, si deve aspettare il proprio turno e non si sa mai cosa sia meglio cantare, cosa possa piacere di più. Allora il consiglio è quello di stare tranquilli, di usare la respirazione per rilassarsi e darsi energia e di essere se stessi, perché ciò che io valuto è l’artista, cioè il miracoloso assieme di voce, atteggiamento, fisicità, spiritualità e recitazione che colpisce e persuade. Uno solo di questi elementi da solo non basta, non basta una bella voce. Il direttore artistico deve immaginare l’artista sulla scena interpretando il personaggio, deve sentirsi sicuro di sceglierlo e non è facile convincere, nel tempo di un paio di arie d’opera, un’altra persona delle proprie qualità artistiche.
Un altro luogo comune, prettamente italiano, sul mondo dell’opera è che “…all’estero è meglio” e i recenti problemi giuridico-finanziari di Arena di Verona e Petruzzelli di Bari sembrano dar ragione agli “esterofili”. Nonostante tutto, il Met rischia la bancarotta e la Spagna decurta del 33% i fondi per il teatro. Lei che conosce bene sia la realtà italica sia quella estera, è davvero meglio oltralpe…?
Provo un profondo dispiacere a rispondere positivamente a questa domanda. Tagli sono stati fatti in tantissimi paesi, ma in molti paesi c’è una gestione, verso gli artisti, assolutamente più seria che da noi, dove ormai sta diventando una triste abitudine non retribuire i cantanti che devono ricorrere a cause legali per avere quanto il contratto dovrebbe garantire. Questo avviene ormai sempre più spesso in teatri anche importanti. Poi ci sono molti impresari privati che non pagano le maestranze e gli artisti da anni eppure ottengono sempre finanziamenti pubblici a società e fondazioni senza personalità giuridica. Siamo il Bel Paese……
Il mondo operistico italiano lamenta sempre meno contributi da parte dello Stato, eppure, si possono fare ottime produzioni anche con meno fondi. Il suo Teatro né è la dimostrazione: vanta grandi affluenze di pubblico anche in spettacoli non di cartello, paga puntualmente e ha il bilancio consuntivo 2013 e 2014 in pareggio. In uno Stato ed in un mondo teatrale in cui tutti “arraffano” e fanno debiti, “tanto poi passa lo Stato a ripianare i debiti”, come vive da virtuoso e onesto?
Non io, ma la Presidenza e l’Amministrazione del teatro di Pisa sono gli artefici di questi risultati che lei cita. Siamo un esempio? La ringrazio delle belle parole. Bilanci in pari, programmazione di altissima qualità e teatro quasi sempre “tutto esaurito”. Che bravi! Ed ecco che ci capita (a novembre scorso) che i fondi pubblici ci vengano tagliati in maniera tale da mettere a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza, mentre teatri con bilanci e presenze di pubblico da far paura in negativo e programmazioni “di facciata” sono stati premiati. Io non ho capito il criterio e, con tutto, ma tutto il rispetto, perché sono corto di cervello e ciò che non capisco non è detto che sia sbagliato, ripeto sempre che non capisco perché si puniscano i teatri virtuosi e si riparino i danni di chi ha i bilanci in rosso.
Lei è un noto cantante lirico, uno stimato Direttore Artistico ed un valente saggista…c’è ancora qualcosa a cui anela professionalmente?
Lei è troppo buono e non merito queste sue parole. Ha dimenticato la mia attività di regista e quella di scrittore, ma, vede, quando qualcuno fa tante cose è perché non sa farne una veramente bene … L’eclettismo nasconde spesso un’irrealizzazione di fondo ed una voracità inappagata. Ma se mi sento capace di fare una cosa perché non devo farla? Il positivo è che tutte le giornate sono diverse e non mi annoio mai.
Non anelo a nient’altro che a poter continuare a fare il mio lavoro. Avrei tante idee su come fare in certe situazioni, ma non le posso esprimere, allora desidero e mi auguro che, se si è contenti di ciò che faccio, mi si lasci sempre lavorare finché avrò energia per farlo.
Il Teatro di Pisa sfiora molto spesso il tutto esaurito (come già accennavo a inizio intervista: anche in spettacoli non di cartello). Cosa c’è dietro questi successi di botteghino?
Un sapiente lavoro di marketing dei suoi collaboratori (pubblicità, diffusione nelle scuole)? …una città in cui la cultura musicale-operistica è ben radicata nelle famiglie…?
Fa piacere, come in questo mese di gennaio 2016, porre la scritta “tutto esaurito” sui manifesti fuori del teatro con qualche settimana di anticipo sullo spettacolo. Ed è già la seconda volta che succede nel giro di poche settimane. Questo è il frutto del lavoro di un’équipe formidabile di persone che ci tiene veramente a che il teatro viva e sia il centro della città; poi tutto quello che lei dice è vero: c’è una città viva dietro, ma molto attenta; se le cose non sono fatte bene, il pubblico non viene a teatro. Averlo fidelizzato ed averlo convinto che a teatro si fanno le cose seriamente e con qualità è il più grande risultato che potessimo ottenere.
A proposito di botteghino, da Direttore Artistico, c’è un’opera tra quelle che ha scelto per la prossima stagione operistica a cui tiene di più? …che vorrebbe che il pubblico pisano vedesse e apprezzasse più delle altre?
In realtà no, ogni opera è un figlio amato e desiderato che costa tanta fatica generare e che poi ti abbandona subito, dopo poche recite. Abbiamo puntato molto sulla produzione di Mefistofele di Boito, ma anche le altre opere sono per me importantissime, anche le più piccole. Spero che il pubblico capisca sempre di più che la gioia di riascoltare i grandi capolavori non può sopprimere la sana curiosità intellettuale verso le rarità. Il pubblico pisano è colto ed ha saputo intuire che ci fosse del buono anche in titoli sconosciuti.
Concludo l’intervista con una citazione presa da un suo saggio. In una lettera datata 1°maggio 1922…il M° Puccini così scriveva a Simoni, suo collaboratore per Turandot: ” …In Italia si cantava; ora non più”. Ed era, ripeto, il lontano 1922. Cosa direbbe allora dei teatri e dei cantanti di oggi..
Cosa direbbe oggi non lo so e sono contento per lui che non veda certi spettacoli o in generale questa situazione di imbarbarimento generale della società. Io dico, e la mia è una citazione biblica: “la bocca parla della pienezza del cuore”. Se i cuori sono tristi, se si è rinunciato perfino alla propria identità, a chi viene voglia di cantare? E se quasi nessuno sa più distinguere se stai cantando bene o male? Se manca la capacità di gustare il Bello, ma direi anche di riconoscerlo? Dovrebbe calare il silenzio, ma c’è un manipolo di persone che difende questo patrimonio, come nel medioevo i frati preservarono i preziosi manoscritti. E’ gente ostinata, che canta comunque, e continua a commuovere e commuoversi, fino a che avrà voce in corpo … Viva l’opera dunque, viva il Teatro, luogo di coscienza e di conforto spirituale per chiunque abbia l’istinto di entrarci. Viva gli artisti che dedicano se stessi agli altri per far più bello il mondo in cui vivono.