
Mattia Olivieri è un giovane baritono italiano sempre più apprezzato a livello internazionale. Abbiamo avuto modo di conoscerlo e di ascoltarlo alla Scala nel Don Giovanni del 2017 e di ammirarne le eccellenti qualità. In occasione del Don Pasquale di quest’anno abbiamo chiacchierato insieme di fronte a un caffè.
Ecco l’intervista che ne è scaturita.
Domanda di rito: quando hai avuto la tua vocazione musicale?
Ho sempre cantato fin da bambino, soprattutto mia madre aveva incitato me e i miei fratelli a suonare. La musica strumentale però non è mai riuscita a entrarmi nel sangue come invece il canto, che ho scoperto quasi casualmente, frequentando il coro della chiesa. Da lì ho iniziato a crederci sempre di più, partecipando a concorsi di canto che mi hanno portato dalla musica leggera alla lirica.
Ricordo che alle prime armi i vocalizzi da Conservatorio mi erano parsi delle stranezze incomprensibili, ma è lì che l’ispirazione è diventata una vera e propria vocazione, grazie anche agli insegnamenti di Renata Nemola. Poi vidi alla Scala il Barbiere di Siviglia, mi innamorai definitivamente e perdutamente dell’opera: nella lirica siamo sempre in diretta live, non c’è artificialità, siamo quello che siamo.
E nel tuo percorso verso il canto lirico c’è qualche artista in particolare che ti ha ispirato o che ti ispira?
Tanti artisti mi hanno dato e mi danno un’ispirazione da cui traggo insegnamenti fondamentali. Cito solo tre grandi del recente passato con i quali avrei sognato di lavorare: Cappuccilli, Abbado, Ponnelle.
Ma anche tra gli attori trovo spunti interessanti per come intendo il mio mestiere: ad esempio amo molto la capacità di un Tom Hanks di adattarsi con disinvoltura e naturalezza ai ruoli più disparati.
Pensi che il lavoro sui personaggi sia un tuo punto di forza?
Sì, l’opera non è solo il mio lavoro, è soprattutto la mia passione. Amo molto lavorare con Direttori e Registi chi mi guidino nell’approfondimento dei personaggi nei quali poi mi immedesimo per trasmettere quello che sento attraverso il canto.
Sento che queste vibrazioni sono la prima cosa che arriva al pubblico e sono convinto che il muovere emozioni sia il principio del canto come di ogni forma artistica in generale. Siamo dei privilegiati a poter fare musica!
Quanto è importante il tuo rapporto con il pubblico?
I cantanti sono persone normali e a me piace mostrarmi per quello che sono: i momenti con gli amici, i tanti viaggi, lo studio, il cibo… Utilizzo molto i social per rompere le barriere che tradizionalmente separano cantanti e pubblico e mostro la vita reale di un cantante, il dietro le quinte dei teatri, gli aspetti più divertenti e belli di questa vita.
Vedo che molti giovani mi seguono e si appassionano all’opera in questo modo; è anche questo un buon canale per avvicinare nuovo pubblico e aiutare il mondo del teatro a ringiovanirsi.
Curiosità: quali sono stati gli spettacoli più significativi per te e quali sono teatro e ruolo dei sogni?
Molto importante per me è stata La Bohème a Valencia nel 2012 con Chailly e Livermore, prima vera grande produzione di livello internazionale in cui ho debuttato come Schaunard. Una straordinaria esperienza molto formativa. Altro spettacolo importante per la mia formazione è stato La Favorite di quest’anno, a Firenze con Luisi, in cui ho interpretato Alphonse XI, il mio secondo ruolo serio di belcanto nel quale mi sono trovato a mio perfetto agio. Indimenticabile comunque la mia prima volta alla Scala, con Bohème, nel 2015 in occasione di Expo.
Adoro Londra, il pubblico inglese e l’attenzione britannica per la cultura, perciò mi piacerebbe enormemente cantare al Covent Garden, teatro che amo molto. Titoli che prima o poi voglio affrontare sono Tannhauser e Billy Budd, mentre il ruolo dei sogni è quello di Scarpia, il malvagio di Tosca.
Alla Scala di Milano torni con Malatesta in Don Pasquale, come hai vissuto questo debutto?
Questo Don Pasquale è uno spettacolo bellissimo, ho trovato dei colleghi perfetti, un cast amichevole.
Chailly è un artista che non lascia nulla al caso, sa dove vuole arrivare, riconosce le potenzialità di un cantante e le esige: sul palco puoi sempre contare su di lui.
È la terza occasione che ho di lavorare con Livermore dopo Bohème e Carmen: di lui apprezzo soprattuto l’attenzione per i personaggi.
Ambrogio Maestri è una persona unica, sempre positivo: la sua tranquillità mi ha messo a mio agio anche nei momenti più delicati.

Mattia è un cantante di notevole spessore, sia artistico che umano, e siamo impazienti di riascoltarlo alla Scala di Milano a ottobre con La finta giardiniera.