
[rating=3] A dodici anni di distanza, il Teatro Comunale di Bologna torna ad ospitare Die Zauberflöte di Wolfgang Amadeus Mozart. Ancor oggi si discute sugli elementi misteriosi e favolistici che pervadono la vicenda ideata dal librettista Emanuel Schikaneder. Il risultato si avventura in un terreno ancora vergine, quello dell’“opera tedesca” come lo stesso Mozart definisce il proprio lavoro. Il genere Singspiel, caratterizzato da ampie parti parlate unite all’azione musicale, si intreccia a quello della Zauberoper, l’opera basata su un’azione tragica con inserzioni di elementi comici, fantastici e surreali. Le fonti da cui è tratto il libretto sono numerose, alcune offrono solamente qualche spunto riguardante l’ambientazione e il clima dell’azione. Nell’ideale massonico degli autori, spinti a fratellanza e solidarietà, l’opera rappresenta un percorso iniziatico volto alla conquista del bene e dell’amore.
Nelle mani della bottega d’arte Fanny & Alexander, fondata a Ravenna nel 1992, il lavoro mozartiano viene letto alla luce delle nuove tecniche anaglifiche. Il nome stesso della compagnia rimanda al celebre, omonimo, lungometraggio del regista svedese Ingmar Bergman che analizza da vicino la vita di due bambini, Fanny e Alexander per l’appunto, costretti a tollerare le angherie di una situazione imposta loro.
Sulla scia del film, il regista Luigi De Angelis riprende le figure dei due fanciulli i quali diventano il pretesto per l’uso delle proiezioni stereoscopiche, concepite da ZAPRUDERfilmmakersgroup. Il bimbo e la bimba si dilettano con un teatrino, di marionette nella pellicola, trasformato in una sorta di scatola magica nella quale i due si trovano inseriti e circondati da un ambiente naturale incontaminato, forte della purezza derivante dell’innocenza. È un po’ avvilente, con i traguardi tecnologici odierni, confrontarsi con un allestimento tridimensionale che costringe all’utilizzo degli appositi occhialini unicamente per scene bucoliche, in cui assumono consistenza volumetrica il fogliame e le figure umane. Il tempo richiesto al pubblico per indossare e togliere le lenti colorate (dato che le proiezioni non sono costanti) crea un disagio estraneo e dannoso alla narrazione mozartiana. Si aggiunga a ciò una cura registica a tratti sommaria, lasciata sovente alle intenzioni dei singoli artisti e basata su idee, quali l’azione in platea, abusate e non sempre funzionali.
Le scene dello stesso De Angelis, affiancato da Nicola Fagnani, sono essenziali nella loro geometricità. Il movimento costante dei pannelli crea spazi surreali che oscillano tra il verde boschivo, il blu notturno e il rosso per gli interni del palazzo di Sarastro. I costumi di Chiara Lagani sono piacevoli, originali e raffinati. A capeggiare la buona riuscita musicale della rappresentazione vi è Michele Mariotti, alla guida della preparata Orchestra felsinea e del Coro, istruito a dovere da Andrea Faidutti. Il concertatore offre una lettura mozartiana di prim’ordine: il soffice tappeto sonoro, all’uopo reso vibrante, ha dato prova dell’attenzione costante verso le dinamiche e le agogiche.
Nonostante l’annuncio di lieve indisposizione, Mika Kares presta la sua voce virile a Sarastro che beneficia dell’attento fraseggio e dell’importante presenza scenica. Paolo Fanale, Tamino, gioca sulla verve giovanile e sulla generosità del timbro, pur non riuscendo a mascherare appieno alcuni limiti espressivi, evidenti durante la recita. Il camaleontico Nicola Ulivieri esibisce tutta la propria verve, sottolineate dalla prestazione attoriale. Il canto è omogeneo e l’attenzione costante alla parola argina qualche piccola stanchezza, udibile lungo l’opera. Ottima è parsa la Pamina di Maria Grazia Schiavo, soprano attento alla piena caratterizzazione del personaggio, delineato a mezzo del preciso controllo dell’emissione. Nell’affrontare l’impervio e delicatissimo ruolo della Königin der Nacht, Sonia Ciani pecca in particolare per intonazione, nonostante il materiale interessante.
La valida e spigliata Anna Corvino dà voce a Papagena. Gianluca Floris, nei panni di Monostatos, è a tratti monocorde ma spontaneo in scena. Piuttosto deficitari i tre fanciulli, Marco Conti (Erste Knabe), Pietro Bolognini (Zweiter Knabe) e Susanna Boninsegni (Dritter Knabe) mentre le tre dame, Diletta Rizzo Marin (Erste Dame), Diana Mian (Zweite Dame) e Bettina Ranch (Dritte Dame), si disimpegnano con sufficiente convinzione.
Ricordiamo lo Sprecher di Andrea Patucelli, i due armigeri Cristiano Olivieri (Erster geharnischter Mann) e Luca Gallo (Zweiter geharnischter Mann) e i tre sacerdoti, Simone Casolari (Erster Priester), Cristiano Olivieri (Zweiter Priester) e Carlo Alberto Brunelli (Dritter Priester). Al termine della recita, il calore del pubblico è stato indirizzato a tutti gli artisti mentre non è mancato qualche dissenso in direzione del team impegnato nell’allestimento.