“Il maestro di cappella” e “Mozart e Salieri”: un dittico inusuale firmato Klose

[rating=2] “Il maestro di cappella” e “Mozart e Salieri” sono opere che ad una prima vista parrebbero avere ben poco in comune e che certamente non si è usi rappresentare insieme, eppure è con questo dittico che la fantasia del giovane regista Valentino Klose ha voluto stuzzicare il pubblico milanese.

Un esperimento di poche pretese e con mezzi limitati, incentrato molto sulla costruzione di una serata a tema, una vera e propria soirée: il fil rouge tra l’intermezzo del Cimarosa e l’opera del Rimsky-Korsakov è stato individuato nella figura di Salieri e nella sua leggendaria invidia verso il talentuoso e irriverente Mozart. In effetti, è proprio il fatto che i due lavori parlino di opera attraverso l’opera a farne una accoppiata interessante e ben congeniata.

Prima dello spettacolo la Sala Gregorianum di via Settala (Milano) si è prestata ad una conferenza introduttiva di Fabio Tranchida, stretto collaboratore di Klose, che ha informato gli spettatori non solo di qualche cenno storico e critico ai due capolavori, ma anche dell’idea registica che ne ha ispirato la produzione in dittico.

Il maestro di cappella” di Domenico Cimarosa è un famosissimo intermezzo comico per orchestra e basso-baritono del 1786, un particolare esempio di metateatro in cui il basso buffo, voce cardine della tradizione musicale napoletana e italiana, impersona uno strampalato direttore d’orchestra alle prese con un’indisciplinata orchestra con la quale dialoga direttamente. Alcune proiezioni di titoli di giornale ci informano che costui altri non è se non Antonio Salieri, al culmine della carriera.

La scena e i costumi di Alessandra Boffelli Serbolisca a dire il vero non situano la vicenda in nessun luogo particolare. Abiti sportivi contemporanei per il maestro di cappella e, in luogo dell’orchestra, parallelepipedi illuminati.

Altri titoli di giornale ci informano dell’ascesa del genio mozartiano e, con la recitazione di alcuni passi del “Mozart e Salieri” di Puskin da parte di Ivo Antonini, il brevissimo dramma del sommo poeta russo alla base dell’omonimo libretto musicato da Nikolai Rimsky-Korsakov, prende avvio la seconda parte dello spettacolo.

“Mozart e Salieri” ha tinte decisamente più cupe e torbide e risente dell’interpretazione leggendaria circa il presunto conflitto tra Wolfgang Amadeus Mozart e Antonio Salieri. L’atmosfera è rabbuiata dal conflitto interiore di Salieri che, umiliato dalla constatazione delle proprie scarse capacità musicali, decide di eliminare lo sfacciato e impertinente Mozart, la cui stella così luminosa pare brillare solo per mettere in ombra gli altri compositori, senza lasciare alcun vero progresso nel campo della composizione. Una boccetta di veleno, versata nel calice del giovane Wolfgang durante la cena, sarà l’arma della vendetta spirituale di Salieri.

La brevissima opera di Rimsky-Korsakov fa ampio uso di citazioni dirette da Mozart, ma ancora una volta le scene non situano la vicenda e i costumi sono di moderno pret à porter. L’ambiente è occupato unicamente da grandi lettere in plastica, a terra e in disordine, della parola INVIDIA, che verrà composta poco a poco da Salieri stesso.

In luogo di un’orchestra gli spartiti sono stati eseguiti in arrangiamento per pianoforte dalla brava Ruta Stadalnykaite, che si è esibita a lato del palco, anche interagendo con il maestro di cappella. In “Mozart e Salieri” è intervenuto il violino di Mariateresa Amenduni, nella parte del violinista cieco che strimpella un’aria di Mozart appositamente in malo modo.

Il maestro di cappella

Nel duplice ruolo del maestro di cappella e di Salieri ha cantato il baritono greco Stefanos Koroneos, di ampia tessitura e buona tecnica, forse poco espressivo. Bene nella dizione anche se con qualche piccola sbavatura e qualche marginale storpiatura comunque ben superate. Molto bene il Mozart del tenore Vitalij Kovalchuk, brillante, espressivo e vigoroso. In perfetto agio nella propria parte eseguita con talento e disinvoltura.

Il giovane regista Valentino Klose può dirsi soddisfatto di questo suo riuscito spettacolo, avendo vinto una duplice scommessa: di costruire un dittico assolutamente insolito e inaspettato, e di metterlo in scena con pochi e semplici mezzi. Magistrale, in effetti, l’uso intelligente delle risorse della Sala Gregorianum, un palco del tutto inadeguato alla produzione operistica tradizionale, che ha suggerito a Klose una rappresentazione basata più sugli effetti di luce, grazie alla collaborazione di Nevio Cavina, che all’allestimento scenico vero e proprio.

Avevamo già potuto largamente apprezzare, del resto, le qualità di Klose con il suo “Serse” di Hendel prodotto da Coin du Roi nel 2015 in un allestimento davvero sorprendente al Teatro Litta di Milano (leggi la recensione).

Grande attesa per la sua prossima iniziativa teatrale di marzo con “Bastien und Bastienne” di Mozart in versione pomeridiana e semiscenica all’Università degli Studi di Milano e in forma scenica al Teatro LabArca. Ancora una volta la serata sarà introdotta da Fabio Tranchida e gli spettatori potranno leggere il libretto tradotto grazie alla proiezione di sopratitoli.

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