
[rating=4] Nel solco della collaborazione con il Festival di Salisburgo proseguono alla Scala le produzioni di opere e balletti ridotti ed adattati per il pubblico giovanissimo. Questa volta è il turno de “Il ratto dal serraglio” di Wolfgang Amadeus Mozart, in ideale corrispondenza con la versione integrale che sarà in scena al Piermarini dal 17 giugno al 1 luglio 2017.
Certo è spontaneo domandarsi se un titolo come questo sia dei più adatti ad un uditorio troppo giovane e inesperto: i temi trattati, l’harem, la diversità culturale, i desideri e le passioni d’amore, rischiano infatti di creare imbarazzo di fronte alla tipica fecondità di domande dei bambini. Le riflessioni più approfondite vengono però scansate da un’interpretazione dell’opera incentrata unicamente sulla morale “per essere amati, i maschi devono essere gentili con le femmine” esplicitata nel semplice e colorato programma di sala: un poco maschilista, ma pur sempre meglio dell’originale!
La trama non viene stravolta, solamente alleggerita e smussata. Durante l’ouverture vediamo e sentiamo naufragare in pieno mare delle marionette rappresentanti le due coppie protagoniste, delle quali si salva solo il nobile Belmonte. La sua amata Costanza, la dama Bionda e il servo Pedrillo sono invece trascinati sulle sabbie dell’isola in cui regna il buon pascià Selim assistito dal burbero guardiano Osmino. Nel procedere degli atti musicali godiamo dei comici bisticci tra Bionda e Osmino, che invano la importuna con pervicace insistenza benché ella sia impegnata con Pedrillo, e assistiamo alle dolenti note di fedele nostalgia di Costanza per il suo amato lontano e quelle di languido dolore di Selim, che la ama inappagato e incorrisposto. Quando Belmonte giunge finalmente all’isola, nelle mentite spoglie di un architetto europeo, gli equilibri vengono fatalmente stravolti e, sotto lo sguardo sospettoso e iracondo di Osmino, il giovane nobile e l’astuto servitore Pedrillo escogitano il rapimento delle adorate fanciulle dall’harem del pascià. Il piano è però tanto esile e mal assortito che a poco serve far ubriacare e addormentare Osmino e attendere i favori della notte: i due imbranati vengono sorpresi proprio mentre riescono a far sortire Costanza e Bionda dalle stanze di Selim. Il pascià, afflitto e contrariato, cede tuttavia di fronte all’amore sincero di Costanza per Belmonte e acconsente al loro ricongiungimento e al ritorno in patria. Profondissimo è invece lo scorno di Osmino, irriducibile nel suo desiderio per Bionda, il cui destino assecondato dal sultano Selim è però di tornare a casa col suo Pedrillo. La trama si chiude sul tono burlesco che la anima durante tutte le vicende, con un balletto tra tutti i personaggi circondati da ballerine a guisa di odalische.
L’opera, il primo capolavoro viennese di Mozart nonché Singspiel di notevole qualità musicale, è un’elegante e raffinata fusione del sinfonismo tipicamente tedesco con l’opera buffa della tradizione italiana. Qui gli stereotipi non cedono agli schematismi prestabiliti, anzi vengono esaltati e caratterizzati dal gioco musicale, nonostante la debole drammaturgia di Stephanie, il librettista del 1781 che per questo lavoro fu persino accusato di plagio.
La riduzione dei tre atti originari in poco più di un’ora di spettacolo riesce straordinariamente a rispettare il gusto complessivo dell’opera, grazie al lavoro particolarmente ben riuscito di Alexander Krampe. Krampe non si limita ad adattare ed arrangiare, ma si concede la libertà di interpolazioni estranee che sottolineano ed evidenziano particolari situazioni, rendendole perlopiù comiche. La versione in scena alla Scala differisce da quella del Festspiele salisburghese solo per i testi delle arie e dei dialoghi che, per ovvie ragioni di comprensione, sono tradotti in italiano.
Proporzionata al tono dello spettacolo è la bacchetta del direttore Michele Gamba, che adegua dinamiche, pause e voci dell’orchestra alle esigenze del palcoscenico. Il risultato è, di fatto, alla stregua di un musical su musiche classiche, con trasportata partecipazione del pubblico che, nello spiritoso e trionfale finale, applaude spontaneamente a tempo di marcia.
La regia di Johannes Schmid è semplice e deliziosa. Le marionette dell’ouverture si “straformano”, nascoste dai teli azzurri del mare, nei personaggi in carne ed ossa, proprio di fronte ad un palazzo sultanesco bidimensionale che ricorda un teatrino di legno, con il portone di ingresso che si apre ad armadio. L’effetto metateatrale è d’impatto. Gli elementi scenografici sono semplicissimi, qualche esile palma sulla destra e dei grossi cuscini gialli disseminati sulla scena ad evocare i sabbiosi terreni mediorientali. Una vera e propria fiaba.
I costumi sono appariscenti: in austera foggia settecentesca quello di Belmonte, orientaleggianti e sgargianti quelli dei tre naufraghi e dei due turchi. A contornare le vicende appaiono spesso alcune ballerine, in coreografie molto lineari, mascherate con folti baffoni neri ed abbigliate con fez e giacchettino giannizzero fino alla danza finale, in cui si svestono rivelando esotici costumi da danzatrici del ventre.
Unica pecca vistosa della regia è un’inspiegabile incoerenza: laddove, conformemente al libretto, Pedrillo e Belmonte parlano di una scala per compiere il rapimento delle rispettive amate, sul palco li vediamo utilizzare due grosse corde. Ci è sembrato, infine, un poco politicamente scorretto mantenere nei dialoghi gli insulti ad Osmino tutti basati sulla sua corporatura grassa, che potrebbero probabilmente urtare la sensibilità di qualche bambino.
Lo spettacolo è nel complesso di notevole qualità artistica. Oltre all’esibizione eccellente dell’Orchestra dell’Accademia scaligera e delle danzatrici della Scuola di Ballo, sono stati davvero molto bravi i giovanissimi cantanti dell’Accademia di perfezionamento per solisti.
Belmonte è il tenore Sebastiano Sala, bellissimo timbro squillante ed espressivo, forse un po’ trattenuto. Bravissimo Pedrillo, Francesco Castoro, con voce più scura e potente, perlopiù impegnato nella recitazione. Davvero ottimi la Bionda di Céline Mellon e l’Osmino del basso Martin Summer, scivolato solo su qualche dettaglio di dizione, come pure Ewa Tracs, Costanza, soprano di voce potente ben modulata. Nei panni del sultano Selim l’attore Dario Leone, molto bravo nelle sue pur poche battute.
Il teatro, strabordante ad ogni rappresentazione, saluta l’esibizione con applausi scroscianti e col sincero apprezzamento dei bambini che affollano la sala e che al termine dello spettacolo possono incontrare nel foyer d’ingresso i personaggi beniamini.