Stefano Sudrié racconta il suo ultimo romanzo Cioccolato Amaro

Un romanzo sulla condizione dei bambini che raccolgono cacao in Africa Occidentale: intervista allo sceneggiatore e scrittore vincitore del Nastro d’Argento

Questo mese abbiamo incontrato lo sceneggiatore e scrittore Stefano Sudrié per scambiare qualche battuta sulla sua vita e sulla sua attività di scrittura.  In particolare su “Cioccolato Amaro”, un romanzo edito recentemente da FaLvision, che ha acceso i riflettori sulla condizione dei bambini che raccolgono cacao in Africa Occidentale.

Parlarci di questo romanzo: perché un lettore dovrebbe leggerlo?

Il romanzo nasce da una predilezione personale per il cioccolato e dal fatto di avere dei nipoti che ne fanno un uso industriale. L’ho scritto e i lettori dovrebbero leggerlo perché è bene tenere sempre presente quale è il prezzo di tutto ciò che ci piace. Nel caso del cioccolato in particolare il prezzo può essere molto alto in termini di sacrifici umani, e non ho nessuna difficoltà ad usare un termine così forte, dal momento che è provato che in molte regioni la raccolta del cacao viene effettuata da minori in stato di schiavitù. Questo libro intende semplicemente essere una delle tante voci che si leva affinché il nostro benessere e il nostro piacere non vadano a gravare troppo pesantemente sulle spalle dei più deboli.

Vincitore di numerosi premi ed autore di soggetti di film come 365 giorni all’alba, in te si denota una certa padronanza della narrazione e della descrizione dei fatti:  quali sono i tuoi autori di riferimento?

Data la mia veneranda età, mi sono formato sulle pagine dei grandi narratori del primo Novecento. I miei preferiti sono Faulkner e Flaubert, ma, in generale, più che da uno scrittore, resto affascinato da un’opera: Sotto il Vulcano, Il Tambuto di latta, I Figli della Mezzanotte.

Scrivere ti fa sentire vivo e ti diverte molto, specialmente l’idea che qualcuno leggerà o andrà a vedere quello che hai scritto. “E’ un po’ come avere un prolungamento di se stessi. Senza aspirare all’immortalità, ovviamente, non sono così scemo, ma è un modo piacevole di intrufolarsi nelle vite altrui”. Che differenza passa fra fare lo sceneggiatore e lo scrittore?

In teoria la differenza dovrebbe essere minima. Si tratta in entrambi i casi di raccontare al meglio una storia. Variano i modi: la scrittura descrive con le parole, lo sceneggiatore usa parole che accompagneranno immagini. In pratica, almeno in Italia, la differenza si va facendo sempre più evidente. Lo scrittore scrive ciò che vuole come vuole. Lo sceneggiatore si trova sempre più spesso a scrivere quello che vogliono gli altri come lo vogliono gli altri.

Come giudichi da vincitore di Nastro d’Argento quale sei, lo stato della Sceneggiatura e Fiction italiana?

La Fiction italiana al momento credo stia toccando il suo punto più basso. Gran parte, se non tutte le colpe, vanno ai network, che non provano nemmeno a produrre qualcosa che possa interessare un mercato internazionale, ripiegandosi su storie di respiro corto e di nessun interesse al di fuori dei nostri confini. Il guaio è che tali storie hanno ormai assuefatto il pubblico ad una fiction qualititivamente scadente, che trova nel gradimento dello spettatore una ragione a ripetersi all’ininito. E’ un cane che si morde la coda.

Che progetti hai per il futuro?

Film e romanzi. Un paio di film in preparazione e tre o quattro romanzi già pronti in cerca di editore.

Il complimento più bello e la critica che più ti ha colpito che hai ricevuto?

Quando uscì il film Da Grande, un critico scrisse che il cinema italiano da quel momento non sarebbe più stato lo stesso. Bel complimento ma previsione totalmente fallita.

Grazie per la disponibilità!

Grazie a Voi!

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