Ti devo tanto di ciò che sono

Il carteggio tra Claudio Magris e Biagio Marin a cura di Renzo Sanson

Garzanti edizioni
Ai figli che un giorno saranno padri

Claudio Magris ha solo 16 anni quando conosce il poeta Biagio Marin, di 64, allora bibliotecario. È il 7 febbraio del 1958 quando da Torino parte la prima lettera al professore, uno scambio che durerà ben 27 anni, poco, se confrontato con i 70 in cui Marin ha scritto lettere a Prezzolini. I grandi scambi epistolari si chiudono con il Novecento, segnando il passaggio di un’epoca, oggi siamo nell’era di internet, si scrivono mail e sms all’insegna della velocità.

La fisicità della carta rende senz’altro più vicino il corrispondente, che con la sua calligrafia vi ha impresso le proprie emozioni: “La penna segue il corso del pensiero, che scorre fisicamente attraverso la mano con una sua armonia” sostiene Magris. Una vicinanza del tutto diversa da quella odierna, le coordinate spazio-tempo, sono andate via via appiattendosi con l’onnipresenza delle persone grazie all’utilizzo del computer. La lettera richiede un suo tempo, porta con sé una lentezza che inneggia alla riflessione, il filo continuo che Marin e Magris si scambiano tessendo lo stesso intreccio di umanità, fa traboccare il carteggio di sentimenti, stima, talvolta anche rabbia.

Non mancano infatti gli scontri, “Lui è la mia antitesi in tutti i sensi” scrive Biagio, la realtà è che Magris diventa il suo confessore, la seconda possibilità di avere un figlio maschio, dopo la morte di Falco: “Ora nella tua voce mi pare di risentire la sua.” confessa in una lettera. Lo chiama figliolo d’anima e continuerà a scrivergli anche quando la vista lo abbandona, dettando le sue lettere tra una pausa e l’altra, silenzi con i quali si punivano.

Il loro rapporto sembra essere sulla lama del rasoio, Marin ormai anziano e depresso, si lamenta del giovane ribelle in carriera, sempre troppo occupato per dargli le attenzioni che desidera. Magris, impegnato con l’Università e poi il lavoro, cerca, appena possibile, di andare a trovare il suo maestro:  “anche quando sembro lontano da te, è la tua vita che cerco di battere – con passi miei.”

Le incomprensioni nascono anche dalle critiche che Marin muove all’opera di Magris Il mito absburgico: “Ieri con Claudio ho avuto un penoso battibecco al telefono. Il mio articolo sul suo libro gli è dispiaciuto.” annota sul diario. Nonostante qualche asprezza, tra i due rimane una profonda stima: “su certe cose io sono molto lontano dai Suoi punti di vista ma mi accorgo come, nella mia formazione e nel mio modo di pensare, io sia debitore a Lei come all’unico vero maestro che io abbia incontrato.” gli scrive Magris.

Marin è un insaziabile scrittore, oltre alle lettere, scrive un proprio diario e incalza per la pubblicazione della sua antologia poetica, altro motivo di attrito con il “figlio”: “ritiene che la maggior parte dei nuovi versi siano inutile zavorra, da buttare fuori bordo. Io non sono di quel parere, ma la sua durezza non la rifiuto.” appunta; da parte sua, Magris ha promesso di battersi perché l’opera di Marin veda la luce. Il giovane collabora con molti editori e la sua competenza va via via affinandosi, ci aveva visto bene quando propose una giovane Susanna Tamaro a ben otto editori, ai quali però non era piaciuto il suo primo romanzo Illmitz, pubblicato recentemente per Bompiani.

Il carteggio tra i due conserva un pezzo di storia, riporta alla mente un Pasolini stanco che lavora “come un dannato e corre sempre in giro e ha bisogno di essere presente dappertutto”, ci fa immaginare per le strade triestine l’irredentista Slataper, gli incontri di Marin con Giani Stuparich e il fiorentino Papini, “se ti è possibile, un altro anno va a Firenze. C’è lì da fare un’esperienza che in nessun altro luogo di questo mondo puoi fare: quella della toscanità, come modo dello spirito”, consiglia a Magris. Quest’ultimo, leggendo La filosofia dell’arte di Gentile, ritrova le parole del maestro, tanto che gli scrive: “mi par quasi di sentire la Sua voce in tanti nostri dialoghi”. E infatti, le lettere sono pregne di filosofia, ma anche di quotidianità, sono uno strumento attraverso cui rinforzare e confermare quel profondo legame e affinità che trasuda da ogni riga e che ha alimentato questa grande amicizia tra Marin e Magris.

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