
Sinuoso … Intenso, morbido, carnale.
Piccolo … Minuto, intimo, delicato.
Gioioso … Folle, energico, vitale.
[rating=5] Lasciando che fluisca, anche il pensiero diviene Gaga, come il movimento, il linguaggio corporeo su cui Ohad Naharin, celebre coreografo israeliano e attuale Direttore della Batsheva Dance Company, costruisce il suo discorso estetico. È un’esigenza intima, che guida alla ricerca dell’autentica e libera espressione di sé. L’oceano di emozioni che inonda l’animo emerge a celebrare la Vita, piena, in tutti i suoi aspetti: meravigliosi e terribili, lievi e profondissimi, sottili ed esplosivi.
27 NOVEMBRE 2015,Cinema Odeon, ore 21:00. Eccellente apertura per il Festival dei Popoli con la prima italiana Mr Gaga (2015), del pluripremiato (Berlinale, IDFA, HotDocs, etc.) documentarista Tomer Heymann.
Il film è stato preceduto dalla Giornata internazionale di studi su Manoel De Oliveira, tenutasi presso il Dipartimento SAGAS (Storia, Geografia, Arte e Spettacolo , Via Capponi 9, aula 12) dell’Università degli Studi di Firenze, con illustri ospiti da Francia (Mathias Lavin dell’Université Paris 8 Saint-Denis Vincennes e José Moure dell’Université Paris 1 Panthéon Sorbonne), Portogallo (António Preto della Escola Superior Artística do Porto), Brasile (Theresa Medeiros della Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro), e dalla stessa Italia (Sandro Bernardi e Luigi Nepi per l’Università di Firenze, Lorenzo Cuccu per l’Università di Pisa e Bruno Roberti per l’Università della Calabria). Coordinamento e traduzioni di Federico Pierotti (ingresso libero).
Nel pomeriggio, sempre al Cinema Odeon, ore 18:00, l’anteprima italiana di Héros sans visage di Mary Jiménez, storie di migranti senza volto. Alla regista peruviano-belga è dedicata un’intera sezione del Festival dal titolo “Immagini del verbo amare: i documentari di Mary Jiménez”, curata da Daniele Dottorini e Carmen Zinno, di cui si possono leggere bellissime analisi e riflessioni sul catalogo del Festival. Qui si trova anche una Conversazione dei curatori con la regista, una biografia della stessa e le schede critiche dei film in programmazione. Un vero e proprio genere letterario minore, degno di nota, che vale da solo il prezzo del volume (10€ alla reception).
Tornando a Mr Gaga, ovvero a Ohad Naharin, è difficile decifrarne l’animo, se non attraverso la visione delle sue coreografie.
Il temperamento severo, esigente e contraddittorio ha messo a dura prova il regista e l’intero staff: ci sono voluti anni per convincere, anzi imporre al coreografo, l’idea che la sua arte, lungi dall’essere manifestazione effimera di torbida purezza, è anche testimonianza materiale di civiltà che deve essere documentata, ricordata, tramandata ai posteri, sopravvivendo all’attimo della performance per divenire parte integrante della memoria collettiva mondiale. Dopo otto anni di duro lavoro, il risultato è fortunatamente eccellente, perché coniuga la precisione documentaria, coadiuvata da immagini di repertorio della vita e degli studi del giovane Ohad, con momenti di reale intimità.
Dal kibbutz in cui è nato e cresciuto, agli studi con Martha Graham e Maurice Béjart, la Juilliard e la School of American Ballet, all’incontro con la moglie (la newyorkese, ballerina della compagnia di Alvin Ailey, Mari Kajiwara, poi tragicamente scomparsa a causa di un tumore), alla propria malattia, ai nuovi amori, alla paternità: il documentario non risparmia nessun dettaglio e pone gli accadimenti umani a diretto paragone con le coreografie mostrate in scena.
Il montaggio è ben fatto, poiché aiuta lo spettatore a comprendere la cifra stilista del coreografo. Così, nelle masse che occupano il palco, nella dimensione collettiva che emerge dalle sue creazioni, traspare i ricordo della convivenza comunitaria del kibbutz; dai movimenti ferini, il contatto diretto con gli animali, dalla sinuosità dei corpi, la dimensione intima ed erotica. Un montaggio alternato-comparativo che inscena il passaggio, spesso traumatico, dalla dimensione privata, minuta e interiore, a quella universale che s’incarna sulle tavole del palcoscenico.
Con momenti alti e commoventi: la figlia che segue le lezioni e già intuisce il movimento Gaga (che così rivela la sua naturalezza e congenialità al corpo umano), la morte della prima moglie e la narrazione del proprio infortunio.
Gli studi classici avviati già in età avanzata (22 anni, mai sentito!, nemmeno per un uomo), la costante ricerca di una propria poetica, di una propria modalità di espressione, senza che alcun timore reverenziale (neppure di fronte a Nureyev o Béjart) lo abbia mai frenato, conducono Ohad su una strada del tutto personale; ma è la quasi paralisi che gli insegna il vero linguaggio Gaga.
Così, in sua movenza infermo, egli trasforma la propria debolezza nel momento della sua più alta ispirazione, cambia punto di vista e si libera da ogni stereotipo o costrizione, per scatenare il corpo e la fantasia. Il risultato è un linguaggio irresistibile e sensuale, inteso ed umano, contagiosa malattia dell’essere e grande speranza che tutto ciò che si è, basta volerlo essere, senza che qualcuno possa preventivamente ordinarlo.
Gigantismo di spazi e scenografie (per quanto lineari e minimali), contrapposto a movimenti fluidi, infinitamente articolati o isterici. Energia e vitalità di un’arte “per forza di levare” che fa del coreografo israeliano il Michelangelo della danza.
Il pubblico, ben disposto fin dall’inizio, accoglie con entusiasmo questa prima proposta. Si parte, nessuna incertezza: la voce non trema, né balbetta, ma fluisce limpida verso la cifra che, par di comprendere, caratterizzerà l’intero festival: “dove c’è Arte c’è speranza”.
Il salvagente arancione, immagine con cui si identifica questa 56esima edizione, rappresenta forse l’Arte che riporta in superficie l’umanità naufragata nel mare della crisi? È possibile.
Ed esiste un precedente fondante che può confermarlo: come France Odeon nel 2011 con The Artist, anche per il Festival dei Popoli nel 2015 la danza diviene la chiave di volta per allestire una grande edizione.
Sperando di non venire smentiti in corso d’opera (ma il ricco e ambizioso programma promette bene), si può affermare che la strada è aperta ai memorabilia.
Non bisogna fidarsi della “penna” (si fa per dire) che scrive, ma porsi in ascolto di messaggi e testimonianze. Per coloro che ritengono la danza una noiosa esibizione di austera abilità tecnica, valga l’esperienza del regista: scettico, trascinato da un’amica, venticinque anni fa, ad assistere ad uno spettacolo di Ohad Naharin, è rimasto così colpito dalla sua opera, dalla suggestiva autenticità di coreografie e movimenti, che ne è divenuto fan accanito. Oggi presenta il suo film-omaggio nella splendida cornice del Cinema Odeon.
“Una svolta” che potrebbe contagiare chiunque e a cui non vale la pena resistere. Ci vediamo al cinema!