
[rating=3] Dall’iniziale Autoritratto fino alle rappresentazioni religiose, la nota dominante della produzione del pittore fiorentino Carlo Dolci (1616-1686), in mostra alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti, è il tecnicismo, quella sapienza tecnica che si ritrova nella scelta dei colori ma, soprattutto, nell’iperrealismo, in quella resa verosimile dei dettagli che attraversa i disegni così come le tele, gli abbozzi così come le opere compiute.
Formatosi nella bottega di Jacopo Vignali, Carlo Dolci divenne, in brevissimo tempo, uno dei portavoce dell’arte Medicea, dei grandi mecenati della Famiglia Medici, da Pietro fino a Leopoldo, figlio di Cosimo II.
Se si eccettuano alcuni disegni a tecnica mista, matita e acquerello, e alcune opere della maturità, tutte le creazioni di Carlino mettono in evidenza quella sua attenzione per i dettagli, quel gusto barocco per quei particolari che destano meraviglia e stupore nell’osservatore.
Quelle stoffe delle vesti emergono dalle tele, sembrano materializzarsi alla vista e, conseguentemente, al tatto, dalla morbidezza dei velluti, dei broccati, dei damascati, delle camice, delle trine, delle calze solate, delle calzature, dei copricapo, delle acconciature alla ruvidezza dei tappeti, delle tovaglie, degli abiti lacerati di religiosi e dei civili.
Così come quei gioielli, dai cammei alle spille, agli orecchini, alle collane, ai bracciali di perle; quella luce che li attraversa, ne illumina i colori e le forme, crea le ombre che si riflettono su quei corpi, su quei volti che sembrano avere carni di porcellana.
Artista poco conosciuto e riconosciuto a livello nazionale, europeo ed internazionale, forse perché esclusivamente legato a Firenze e alla casata Medicea, può, con questa personale fiorentina, riscattarsi quale testimone di rigore e finezza esecutiva dell’arte seicentesca italiana, nel 400esimo anniversario della sua nascita.
Un vero e proprio amante delle arti minori, dal ricamo all’oreficeria, fino alla sartoria, complice, forse, l’eredità paterna (ricordiamo che il padre era un ottimo sarto del Granducato), divenuta quasi un’ossessione per il particolare, per il singolo elemento che cattura lo sguardo, lasciando da parte la visione d’insieme dell’opera. I colori, la morbidezza dei corpi così come delle stoffe, e quella luce che, se da una parte sono certi testimoni dell’arte del Trecento e del Quattrocento, dall’altra attraversano la contemporaneità seicentesca per proiettarsi verso il Secolo dei Lumi.
Con Carlo Dolci trionfa il vero, quell’amore totale per ogni dettaglio del reale, quel vero maniacale che diventa portavoce primario di tutte le tematiche barocche: la metafora, il simbolo, l’illusione del sogno, la decorazione, l’ornamento, l’oscurità, la magnificenza, l’inquietudine, il brutto, il grottesco, il deforme,
L’esteta barocco per eccellenza che, saldo di certezze e regole tecniche apprese nella bottega del Maestro Vignali, stupisce e meraviglia il pubblico attraverso la ricerca di quelle raffinatezze ed eleganze tipiche del preziosismo.
Ne sono i più significativi testimoni l’Autoritratto, il Ritratto di Ainolfo de’ Bardi, la Salomè con la testa del Battista, il Martirio di Sant’Andrea, l’Adorazione dei Magi, Davide con la testa di Golia, il San Sebastiano.