
Un’esperienza che entra sotto la pelle, che scuote e che, anche a distanza di ore, continua a vibrare. Ci sono spettacoli che non si guardano soltanto: si attraversano. Giocasta di Michela Lucenti è uno di questi.
Liberandola dal ruolo marginale in cui la tradizione (soprattutto in Sofocle) l’ha relegata, Lucenti, insieme al Balletto Civile, restituisce alla figura di Giocasta la sua voce e una presenza viva e ribelle. Ispirandosi all’ultima versione delle Fenicie di Euripide, lo spettacolo rilegge il mito da una prospettiva femminile e contemporanea, mettendo al centro una madre che tenta — con tutte le forze del corpo e del cuore — di recuperare in qualunque forma l’amore di Edipo e di impedire che la guerra divori i propri figli. Una donna coraggiosa, che decide di uscire dal non detto e dall’ipocrisia e decide di parlare.
Con Giocasta ritroviamo pienamente la firma artistica di Michela Lucenti e del collettivo Balletto Civile: una compagnia che da anni indaga il rapporto fra corpo, voce e azione scenica, mettendo al centro una drammaturgia fisica e politica. La loro poetica rifiuta le etichette e attraversa i linguaggi — danza, recitazione, canto — senza gerarchie, cercando un’espressione necessaria, viscerale, capace di toccare le più importanti questioni civili e sociali. Nei loro lavori, il corpo è sempre un campo di battaglia emotivo: fragile e allo stesso tempo feroce, popolato di storie collettive e di un’urgenza che non concede allo spettatore spazi di distanza. È un teatro che interroga, che coinvolge, che ci chiede di entrare in relazione con ciò che accade davanti ai nostri occhi, perché è qualcosa che riguarda tutti.

La scena è essenziale: pochissimi oggetti, un gioco di luci che taglia lo spazio in fenditure drammatiche, e soprattutto un corpo che lotta, si frantuma, canta, resiste. Una performance fisica e vocale di grande intensità, in cui danza, parola e canto diventano strumenti di una narrazione che procede per emozioni, simboli, strappi.
Accanto a Lucenti, la presenza di Thybaud Monterisi nel ruolo di Edipo: un controcanto scenico e poetico alla figura di Giocasta, una voce che emerge come eco del mito e che amplifica il conflitto, senza mai sottrarre forza alla protagonista. La loro relazione è un continuo rimando: madre e figlio, vittima e carnefice inconsapevole, due destini incatenati l’uno all’altra.
Giocasta non è solo tragedia riportata al presente: è un “elogio alla democrazia”, intesa come gesto quotidiano di ascolto e riconciliazione. La protagonista diventa segno universale della resistenza al potere distruttivo, del rifiuto della fatalità, della ferita — ancora aperta — che la guerra incide nei corpi e nelle generazioni. Lucenti porta in luce una Giocasta che non cede, che non tace, che reclama il proprio posto nella storia.
Si esce dalla sala con il fiato sospeso e con una verità semplice e attuale: dietro ogni mito c’è una donna che lotta per salvare ciò che ama. E quella lotta, ancora oggi, ci somiglia terribilmente.













