
In scena al Teatro Vascello a Roma Delirio a due, di Eugène Ionesco, con Fabio Galadini e Valentina Morini, per la regia di Fabio Galadini. Ionesco, drammaturgo e saggista francese di origini romene vissuto dal 1909 al 1994, è il massimo esponente del teatro dell’assurdo.
Lui e Lei, normalmente normali, normalmente infelici, normalmente insoddisfatti della vita, passano il tempo litigando con cattiveria e violenza su futilità di ogni genere, rinfacciandosi disillusioni e sogni traditi. Parlano, urlano, disputano mentre intorno a loro, come in uno spaventevole controcanto, la guerra infuria. E loro la guerra sembrano ignorarla, a parte nei momenti in cui il rumore degli spari e delle bombe arriva sino in casa e i calcinacci interrompono il diverbio. La casa stessa non ha una connotazione ben precisa, potrebbe essere in qualsiasi città del mondo occidentale.
Si provocano, si prendono in giro, si insultano. Si rinfacciano l’un l’altra quello che sarebbero potuti essere se non avessero avuto la sfortuna di incontrarsi, si colpiscono nei punti dove sanno che può far più male. E non si capiscono. Mai. Impossibilitati a comunicare, incapaci persino di provare caldo o freddo nello stesso momento. È una situazione assurda, ma sappiamo che è voluto. L’opera fa parte del teatro dell’assurdo di Ionesco, dove tutto è portato all’esagerazione, tanto da risultare ridicolo e al tempo stesso inconcepibile. Non sappiamo neanche i nomi di Lui e Lei, ma forse non ha importanza.
È una drammaturgia fondata sulla difficoltà della comunicazione, le parole e i gesti spesso non hanno senso come gli argomenti delle “futili” e inutili conversazioni. Le argomentazioni sono futili e banali. I due coniugi sono destinati a rimanere soli, a non comprendersi, a rinfacciarsi il passato. Il linguaggio, invece di essere strumento di comunicazione, è un ostacolo insormontabile. L’illogicità dei loro battibecchi giunge al paradosso, la loro relazione è assurda. Sembrano spesso dei maniaci in preda alla follia.
I rumori esterni, i bagliori delle bombe, la polvere delle granate che esplodono li riempiono di paura, li riportano alla realtà, ma poi riprendono a litigare.
Il testo e la rappresentazione hanno una struttura circolare. Tutto torna dove è cominciato.
È un testo difficile da mettere in scena, ma l’interpretazione degli attori è stata magistrale. Lei isterica, sognatrice, umorale; Lui più calmo, morigerato, ma snervato.
Ben costruita la scenografia, essenziale e funzionale al clima dell’assurdo. Suggestivo il gioco delle luci e delle ombre, così come le musiche scelte. Semplici e “moderni” i costumi.
Il teatro non è più mimesi di un’azione che richiede l’immedesimazione degli spettatori, prevale invece la dimensione del meta-teatro: lo spettatore è spinto a riflettere non solo sulla condizione dell’uomo, ma sul modo stesso di fare teatro.