
[rating=4] Un telo trasparente, che ricopre tutta la boccascena del teatro, costringe il pubblico a vedere le figure sul palco attraverso una patina bianca che fa da filtro, una sorta di macro lente che impedisce la completa messa a fuoco dei particolari e dei volti ma lascia solo percepire l’immagine complessiva: i contorni sfocati sembrano quasi un sogno, la musica martellante ci riporta alla realtà, i movimenti lenti ed armoniosi che diventano rapidi ed impetuosi comunicano indeterminazione, attesa che precede lo scatto, talvolta dolcezza e calma.
Non appena lo spettatore mette a fuoco e si abitua a ciò che sta vedendo, il buio ingloba la figura bianca che stava fissando e se ne illumina un’altra, diversa e misteriosa. Siamo obbligati continuamente a variare il nostro modo di guardare: la luce, unico mezzo di visione, è manipolata, deviata, filtrata.
Si susseguono scene interessanti, dove i movimenti millimetrici delle tre performer, tutt’uno con la musica elettronica e ovviamente con le luci, sono molto curati. In una di esse due corpi, asessuati e con i capelli legati fra loro come se fossero gemelli siamesi, entrano strisciando nella semioscurità. Iniziano a muoversi, ballano, tentano di separarsi ma i capelli resistono, sono una sorta di cordone ombelicale che non si infrange facilmente. Riescono finalmente a staccarsi l’uno all’altro, sono liberi, ma si cercano, si aiutano. Abbiamo assistito ad un parto dove una nuova creatura viene “alla luce”? Chi è la mamma e chi il figlio?
Un’altra entità balla sostenendo il peso di una pertica orizzontale, gioca con la sua posizione, fa movimenti ripetitivi per tutta la sua lunghezza fino a quando l’enorme bastone gli viene sottratto e sollevato verso l’alto. Il suggerimento al lavoro nei campi arriva direttamente dalle illustrazioni del maestro giapponese Hokusai, il creatore dei Manga (che letteralmente significa “immagini senza nesso logico”…) che hanno ispirato lo spettacolo, dove compaiono molti contadini che usano un bastone poggiato sulle spalle per trasportare il raccolto. Dopo che gli viene tolto il lavoro, cosa ne è dell’uomo?
Poco dopo altre due figure asessuate, ma stavolta con volto coperto dai capelli, ballano, litigano, si strattonano e si proteggono; la musica e la luce perturbano le loro esistenze come se fossero stimoli esterni, poi al centro del palco si abbracciano, passano l’una davanti all’altra, come a proteggersi, e continuano a coprirsi il volto reciprocamente. Successivamente entra una terza figura che imita i movimenti visti fino ad ora, iniziando pian piano un gioco a tre. Ancora una nascita?
Un’altra scena molto bella è originata da una luce che dall’alto scende trasversalmente verso destra. Nel suo cono resta imprigionata una creatura che si muove, si contorce dentro il fascio di luce, sembra voglia uscire, sbatte contro le invisibili pareti di buio come se fosse imprigionata in una provetta: i movimenti, molto ricercati e puliti, creano emozioni, sensazioni bellissime nel pubblico, pur non dando alcuna spiegazione logica apparente. Per godere appieno dello spettacolo si deve quindi abbandonare ogni tentativo interpretativo e lasciarsi trasportare da ciò che i nostri sensi stanno percependo, sia consapevolmente sia no.
Intensa la scena finale dove si intuiscono, tra il fumo e un telo che riverbera la luce, tanti morti che lentamente camminano, tanti corpi inconsistenti, ombre accecate dal bianco. Poi una voce di bambina scandisce il nome dello spettacolo.
Una performance molto bella, non facilmente intelligibile ma sicuramente interessante, una vera e propria opera d’arte contemporanea teatrale.