Un Poyo Rojo piccante e agrodolce

Al Teatro Rifredi di Firenze andrà in scena, fino al 30 ottobre, l'energizzante e poliedrico spettacolo per la regia di Hermes Gaido. Un colpo di gioia e vitalità, senza parole, parole, parole

[rating=3] Poyo Rojo è uno spettacolo esplosivo, che accende meccanismi comici come fuoco sulla miccia. La detonazione avviene nelle risa del pubblico – incontrollate, sfrenate, improvvise; rivelatorie del bisogno, tra le persone, di alleggerirsi, sdrammatizzare, unirsi in una candida risata. L’occasione giusta si è presentata venerdì 21 ottobre al Teatro Rifredi di Firenze con Poyo Rojo, bollente inno al linguaggio del corpo. Danza, discipline sportive, acrobazia, atletismo, pantomima si sono incrociate in una fusion teatrale in cui gli argentini Alfonso Baron e Luciano Rosso hanno sfruttato le loro straordinarie doti acrobatiche, per giocare con l’esasperazione e la parodia del gesto.

Affermazioni e negazioni, lotta e istinto, competizione e attrazione solfeggiano in battere e levare, con la gravità contro e a favore, divorati da composizioni che, a volte, rasentano la perfezione. Magici certi salti nel vuoto, certe prese in aria; altrettanto destabilizzanti le coreografie, in grado di marcare i lati grotteschi sia delle varie street dances (break, hip-hop, twerking, reggaeton), al pari dei più impostati flamenco e salsa, fino alla danza classica.

Nelle mani dei due irruenti performers, le relazioni  umane sono derise e messe alla berlina con una delicatezza intelligente che richiama la satira, o le alte forme dell’avanspettacolo. Rilevante è la parte sostanziosa della pura improvvisazione, affidata a una radio che suona in presa diretta, con brani casuali – dalla musica leggera alla disco music, a discussioni calcistiche e teologiche. Sul caso sono costruite molte scene in cui i due personaggi gradualmente, ma intensamente, si desiderano (uno con più consapevolezza, l’altro meno), in un crescendo che porta all’inevitabile, forse scontato, finale, in cui i due si abbandonano l’uno all’altro.

Poyo Rojo

La portentosa e ultradivertente agilità fisica di Alfonso Baron e Luciano Rosso sembra quindi un mezzo per trattare l’omosessualità, e non è forse un mero incidente il contesto scelto, il mondo dello sport (simboleggiato anche dall’armadietto, unico oggetto in scena insieme alla radio), proprio dove è più radicato il mito del “maschio”. Questo il tema scelto in Poyo Rojo, attuato da uno stile macchiettisco pienamente riuscito. Forse altri grandi artisti nostrani, vedi Totò, avrebbero sfruttato le potenti qualità umoristiche per sviluppare riflessioni su ulteriori aspetti dell’esistenza (morte, destino, contemporaneità). Ma il teatro è una prateria immensa, dove i confini esistono, e si vedono a malapena.

La generosità di Luciano Rosso ha regalato un ultimo momento, delizioso ed esilarante, con il playback di Parole, Parole, Parole, sdoppiandosi nei ruoli e liberando, ulteriormente, la sua frenenetica fantasia interpretativa.

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