Un Lear molto Real

Debutto al Teatro dell'Olivo di Camaiore per Caterina Simonelli, che mercoledì 15 marzo è andata in scena con il suo Real Lear - una produzione della giovane compagnia versiliese IF Prana

Si intrecciano due scritture in Real Lear, quella leggendaria di Shakespeare e quella privata di Caterina Simonelli – interprete, drammaturga, regista, diretta in questa occasione da Marta Richeldi. L’attrice trentacinquenne mostra la sua maturità stilistica con un’opera fatta di lame e tempeste, in picchiata su un testo vitale e ironico, frenetico e dolorante. Lo fa senza retorica, senza patina, svelando un bisogno di rivelarsi al mondo e manifestare un passato che non si può rimarginare.
Il suo Real Lear è una conchiglia di spirali e suoni interiori. La fonte primaria è la tragedia, sublime tragedia shakesperiana, dove “sai nonno, muoiono tutti, tutti.” Che si interseca con la storia della frattura tra due personaggi cruciali nell’esistenza di Caterina Simonelli, il nonno e lo zio – padre e figlio. Il racconto che ne deriva, agito sulla scena, è un incalzante dispiegarsi di azioni (la corsa, il mangiare, lo sprofondare in una poltrona) in mezzo ad abiti che come fantasmi popolano il palco, quando simboli delle tre figure femminili del Re Lear, quando scheletri di persone che sono e non sono più tra noi.

Il modo in cui le due trame comunicano provoca fessure da cui sgorga un materiale luccicante e scuro di rabbia e impotenza, umorismo e disincanto. Nessuno fece niente per difendere Cordelia da un re che invecchiò senza saggezza. Come nessuno fece molto nella famiglia dell’attrice, quando suo zio se ne andò dopo quel violento litigio. Se parlarne è quasi impossibile, il teatro sembra un mezzo per far scorrere i fotogrammi andati, trasformarli in inclinazioni della voce, accasciarsi, gridare cosa ci piacerebbe fare se non ci fosse una bufera a impedirlo. Cosa siamo noi esseri umani, cosa vorremmo essere? Vorremmo amare e non ci riusciamo e corriamo, tutto il giorno, su strade già disegnate, che non osiamo ritoccare. Conoscere la sconfitta come le nostre tasche – come una figlia – è il patrimonio genetico di una generazione, la nostra, quella degli anni Ottanta, piena di risorse inattese, che a teatro stillano un senso di infinitezza.

Le sfumature urgenti che la drammaturgia di Real Lear riesce a sottolineare, sono degne di nota. Pare ci sia una verità nascosta che emerge tra le pieghe delle frasi, narrate con una padronanza coinvolta e capace di stupirsi. Una prova d’attrice destinata a travolgere nuovamente, per smuovere particelle e atomi coscienti, che cercano un’isola su cui ricominciare, e comunicare di nuovo con chi può solo ascoltare.