
Bottiglie vuote, rifiuti di ogni genere, gli immancabili piccioni e le scritte con il pennarello imbrattano il piedistallo della statua di Garibaldi a Bologna. Lui ci guarda dall’alto del suo cavallo, imponente e scultoreo. Fortunatamente c’è chi lo aiuta a mantenersi decoroso e pulito: è un pensionato volontario “con figli a carico” che passa le sue giornate a prendersi cura del monumento e, come una “macchinetta della chiesa” dove si mette “l’eurino” per illuminare i capolavori appesi alle pareti, anche lui ci illumina sulla vita del grande generale e su cosa penserebbe se fosse ancora vivo e ci vedesse in queste condizioni.
Nell’allestimento dello spettacolo “Se Garibaldi scende da cavallo” al Teatro Dehon, l’”Eroe dei due Mondi” è una sagoma di cartone, anche il cavallo è di cartone e il piedistallo è ovviamente meno imponente della statua che si trova in via Indipendenza. Risulta quindi meno elevato ed inarrivabile della sua copia reale e il materiale povero di cui è costruito lo rende ancor più vicino a noi “comuni mortali”. Questo serve a ingentilire l’opinione che Garibaldi avrebbe di noi se potesse vederci ai giorni d’oggi.
Ma perché dovremmo aver timore del suo giudizio? Vito, che fa da voce narrante, ci racconta la vita e le gesta del famoso eroe, del suo passato di marinaio civile, quindi trasportatore di merci, del suo incontro con le teorie mazziniane sull’unità d’Italia, dell’esilio in Sud America, alle innumerevoli battaglie vinte in mare e in terra per la liberazione delle genti dagli oppressori, fino ad arrivare all’impresa dei mille e alle guerre d’indipendenza in Italia. Questo racconto sarebbe risultato molto didattico e pedante, anche perché letto da un imponente leggio che toglie la teatralità e limita l’azione di Vito, il quale però con maestria esorcizza questo momento introducendo aneddoti esilaranti che ci mostrano il grande eroe molto più terreno di quello che si potrebbe pensare: quando è sul mercantile, per andare in bagno “si sedeva sul bordo della nave e lasciava cadere la pastura”, “tirava delle cannonate!” e non era campione di fedeltà con le donne (“come mai ci sono dei sardi e dei siciliani biondi?!” oppure “chi è l’Italia del motto: O si fa l’Italia o si muore?!”). Ovviamente questi sprazzi comici non offuscano il rigore morale di Garibaldi, che lo portò a rifiutare beni ed onorificenze nonostante “tenesse famiglia” e a fare scelte impopolari per il mondo d’oggi, come abbandonare la tranquillità delle sue terre per difendere gli oppressi e i bisognosi, perché altrimenti “che razza di italiani avremmo fra 130 anni??”…
L’ironia verso i nostri politici e i nostri valori è forte, si ride sia per gli aneddoti raccontati sia per i paragoni con l’oggi: “obbedisco?! Noi lo diciamo tutti i giorni!”. Dopo la presentazione di chi fra poco scenderà da cavallo per giudicarci, lo spettacolo prende un’altra piega, un altro ritmo: Vito lascia lettura e leggio e si dedica a quello che sa fare meglio e gli viene più naturale, raccontare aneddoti tipicamente bolognesi sfruttando inflessioni dialettali e modi di dire esilaranti per descrivere invece come siamo noi, i giudicati. Noi che “abbiamo una bella buccia”, cioè non ci ammazza niente perché fin da piccoli bevevamo la “spuma al cedro, che mia nonna metteva nella statua della madonna per farla fosforescente”, noi che abbiamo figli di 38 e 44 anni in cerca del primo lavoro, che rendevamo la terra fertile facendoci all’amore sopra… Gli aneddoti sono irriverenti, impregnati di comicità e amarezza: la società si è come irrigidita e troppo specializzata (ad esempio Garibaldi visse per qualche mese facendo lezioni di italiano e storia, cosa che ora richiederebbe sicuramente una laurea!), ha classificato l’individuo rendendolo forse più oppresso? Come mai i valori di fratellanza e aiuto per i più deboli sono stati sostituiti dall’egoismo e dall’indifferenza? Noi siamo eroi di tutti i giorni?!
Vito è solo sulla scena, contornato solo da un leggio e una statua di cartone. Abile nel tenere sempre alta l’attenzione del pubblico, capace di far ridere e riflettere, usa con destrezza improvvise virate per evitare il qualunquismo, riuscendo a parlare ai bolognesi da bolognese, con sarcasmo e ironia. Uno spettacolo da vedere, che ha avuto successo di pubblico con applausi a scena aperta.