Quando le radici affondano nella terra, le fanno male?

Al Franco Parenti, «Cose che so essere vere» per la regia di Valerio Binasco

Cose che so essere vere © Virgini Mingolla
Cose che so essere vere © Virgini Mingolla

La scenografia di «Cose che so essere vere» si sviluppa come un labirinto arboreo. Un palco girevole accoglie un imponente piano da cucina a L, attorno al quale vengono disposti una poltrona, un tavolo, un minifrigo, un divano. Ma è l’elemento vegetale a dominare la scena: piante di varie dimensioni e tipologie si moltiplicano in ogni angolo, invadendo lo spazio con una presenza vitale e caotica. Inutilmente gli attori spostano e riposizionano i vasi, tentando di riportare ordine in una struttura che resta irrimediabilmente labirintica e vertiginosa. Gli arbusti avvolgono le azioni, intrappolano i personaggi e suggeriscono un bosco che disorienta e opprime chi vi si addentra.

Opera del drammaturgo australiano Andrew Bovell, Things I Know to Be True è un’indagine tagliente sulla disfunzionalità di quella che potrebbe essere una famiglia qualunque: un’istituzione in cui amore e rancore coesistono in un precario equilibrio. In casa Price, la madre Fran è perennemente insoddisfatta delle scelte dei figli, mentre il padre Bob è una figura sfuggente e disorientata, incapace di comprendere appieno ciò che accade attorno a lui. La loro prole è invece intrappolata in una sofferenza comune ma vissuta in solitaria. Ad animare i rapporti tra i personaggi è dunque una costante tensione psicologica, sostenuta da un crudele dialogo unidirezionale: genitori che impongono la loro visione del mondo e figli che lottano per affermare la propria indipendenza e individualità. Il tema della lotta generazionale si erge così come fulcro della narrazione.

Cose che so essere vere © Virgini Mingolla
Cose che so essere vere © Virgini Mingolla

In questa prima edizione italiana prodotta dallo Stabile torinese, la recitazione si colloca a metà tra un umorismo tagliente e una malinconia cantilenante: un’arma a doppio taglio che ferisce e fa sorridere, allontana e avvicina, coinvolge e lascia sgomenti. Il regista Valerio Binasco (irriconoscibile nei panni dell’impacciato padre Bob) impone agli attori un ritmo serrato, quasi privo di pause, che trasforma i dialoghi e i monologhi in una corsa affannosa. Le battute si susseguono come in un flusso ininterrotto, un vomitare parole nel tentativo disperato di sfuggire alla morsa dell’impotenza e all’immobilità. Questo continuo affanno si traduce nella sensazione di un labirinto, in cui i personaggi cercano di divincolarsi da radici che li attanagliano, logorandoli lentamente.

L’affabulazione concitata sostiene una costruzione drammaturgica volutamente acentrica, composta da una serie di quadri autonomi, ciascuno dei quali svela specifici elementi di tossicità nei rapporti interpersonali. Ogni quadro si manifesta come un’esplosione emotiva che, invece di condurre a una risoluzione, lascia personaggi e pubblico sospesi in un’insoddisfazione irrisolvibile. La conseguenza è un continuo disintegrarsi dei processi, un accumularsi perpetuo di tensioni e risoluzioni momentanee, animate da battute affilate che fendono l’aria come lame.

Cose che so essere vere © Virgini Mingolla
Cose che so essere vere © Virgini Mingolla

Come all’interno di qualsiasi stereotipo famigliare, il pilastro di questa casa è la Madre: un’entità ubiqua e quasi veggente, capace di intuire cosa accade nella vita dei figli semplicemente da uno sguardo, una parola, un sospiro. Un ruolo spigoloso, un personaggio dolce/amaro, ma soprattutto dominato da frustrazione e rimpianto. L’attrice Giuliana De Sio si arrampica vertiginosamente nella scrittura di Bovell, riuscendo a trasmettere l’asprezza del personaggio, la cui complessità sta proprio nel bilanciare questo amore corrosivo e premuroso, senza giustificarlo né condannarlo.

Attorno a Fran si intrecciano i dolori esistenziali dei quattro giovani adulti. La figlia maggiore, Pip, trova una fuga temporanea nell’amore di una relazione extraconiugale, cercando disperatamente un senso di appartenenza e passione che il suo matrimonio sterile non le offre. Mark, il figlio di mezzo, lotta per affermare la sua identità, ma si scontra con quella che gli viene imposta dai preconcetti dei genitori. Il mammone Ben è divorato da un’ambizione insaziabile che lo spinge verso la ricchezza e l’autodistruzione.

Cose che so essere vere © Virgini Mingolla
Cose che so essere vere © Virgini Mingolla

L’unica a sfuggire a questo schema ribelle e oppositivo è la piccola di casa, Rosie, la figlia inaspettata, nata per la semplice mancanza di un preservativo a portata di mano. La diciannovenne idealizza la sua famiglia, la percepisce come perfetta e non riesce a distaccarsene. Dovrebbe trovare la sua strada, ma rimane chiusa in una fragile bolla di vetro, restia a crescere e desiderosa di essere cullata nella sua innocenza per sempre. Giordana Faggiano infonde al personaggio una qualità che va oltre la semplice immaturità, trasformandola in una figura intrappolata in un’infantilità quasi patologica. La sua interpretazione delicata e fragile rivela una dipendenza emotiva radicata. Ogni suo gesto e ogni flebile inflessione della voce sembrano richiamare un desiderio disperato di permanere in una condizione di innocenza protetta, un rifugio sicuro che la isola dalle tensioni e dalle disillusioni del mondo esterno.

La rappresentazione dei Price ha la potenzialità di toccare corde particolarmente sensibili per il pubblico italiano, per il quale la famiglia è da sempre un’istituzione imponente e opprimente. Non è un caso che, secondo i dati Eurostat 2022, l’età media in cui i giovani italiani lasciano la casa dei genitori sia di 30 anni: qui da noi, la lotta generazionale non è solo una costante, ma una necessità fisiologica, una risposta alla muffa proliferata sul letto d’infanzia. Tuttavia, l’isteria spietata ed egocentrica che Bovell conferisce a ogni personaggio crea una distanza tra la scena e il pubblico e inibisce ogni tentativo di empatia: la barriera emotiva che ne deriva spinge il pubblico a un’osservazione critica e distaccata, rendendo impossibile adottare una posizione univoca. Scegliere da che parte stare rivela più della propria esperienza personale che di un sistema di valori oggettivo.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Attori
Drammaturgia
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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quando-le-radici-affondano-nella-terra-le-fanno-maleCose che so essere vere <br>di Andrew Bovell <br>traduzione Micol Jalla <br>regia Valerio Binasco <br>con Giuliana De Sio, Valerio Binasco, <br>Fabrizio Costella, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Stefania Medri <br>scene e luci Nicolas Bovey <br>costumi Alessio Rosati <br>suono Filippo Conti <br>video e pittura Simone Rosset <br>produzione Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale / Teatro Stabile Bolzano / TSV Stabile del Veneto – Teatro Nazionale <br>Cose che so essere vere è stato prodotto per la prima volta dalla State Theatre Company of South Australia e da Frantic Assembly nel 2016. <br>In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di HLA Management Pty Ltd

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