
Era il 1948 quando Eduardo De Filippo, reduce dal successo di Napoli milionaria (1945) e Filomena Marturano (1946), stravolgendo ciò a cui aveva abituato il pubblico, portò in scena la complicata e pirandelliana commedia La grande magia, ma proprio come i Sei personaggi in cerca d’autore dello scrittore siciliano, anche il testo partenopeo naufragò sotto le aspre critiche della platea tanto da portare un amareggiato Eduardo a inserirla nella raccolta Cantata dei giorni dispari, ovvero dei giorni tristi.
Nel 1985 però Giorgio Strehler, che ne aveva inteso la potenza prometeica, decise di rispolverare quella sfortunata opera e la riprese e rappresentò con un nuovo allestimento al Piccolo Teatro di Milano. La rappresentazione fu così apprezzata che allo scroscio di applausi del pubblico Strehler disse:
«Questa sera avremmo voluto che ci fosse qui Eduardo. Questi applausi li meritiamo, forse. Ma è più giusto che l’applauso più grande lo abbia lui, il poeta, che ci ha lasciati.»
Dopo 39 anni La grande magia è tornata proprio in quel teatro, il Piccolo di Milano, che le ha ridato la vita, grazie a Gabriele Russo che ha deciso di riproporre e fare sua questa commedia eduardiana “squilibrata, sospesa e caotica come il tempo in cui viviamo”.
Al centro dell’opera i protagonisti, due facce della stessa medaglia, Calogero Di Spelta (Natalino Balasso) e Otto Marvuglia (Michele Di Mauro), il primo è un uomo dabbene ossessionato dalla gelosia per la moglie e dall’ostinazione a mantenere le apparenze a dispetto di tutto, il secondo è un saltimbanco, un illusionista imbroglione che vive di spettacolucci di magia e di piccole truffe.

Quando Calogero e Otto si incontrano però accade la grande magia o la grande beffa che dir si voglia, perchè ognuno a modo suo ha bisogno dell’altro, Otto prosaicamente per campare, Calogero per trovare una menzogna abbastanza credibile dal salvarlo dalla pazzia; Marta Di Spelta (Maria Laila Fernandez) approfitta infatti di un trucco di magia di Otto per scappare col suo amante ma il marito è talmente addolorato e incredulo che preferisce convincersi di star vivendo un’illusione provocata da Marvuglia.
Passano quattro anni: Marta, abbandonata dall’amante, decide di tornare dal marito e scongiura Marvuglia di fingere di concludere l’esperimento interrotto e di farla riapparire. Ma il marito la respinge definendola un’estranea; se Marta fosse la donna ricomparsa allora Calogero dovrebbe ammettere di essere stato abbandonato e tradito, per cui preferisce continuare a credere all’illusione e pensare a sua moglie fedele e innamorata di lui.
La grande magia del titolo si svela sul finale per quella che è davvero, ovvero la grande bugia che ognuno di noi si racconta per poter continuare a vivere: la bugia di amare la propria vita, di essere felici del proprio lavoro, di stare bene dove si sta. Ecco allora perchè il pubblico nel 1948 fischiò a Eduardo: era arrabbiato con l’autore per aver strappato il velo di Maia, per aver mostrato la miseria che c’è nella vita di ognuno.

Il pubblico di Strehler del’85 era abbastanza lontano da guerre e scempi, travolto dall’entusiasmo del boom economico, per arrabbiarsi per quest’amara verità e applaudì, quello del 2024 forse vive già nei brandelli del velo di Maia e davanti alla rappresentazione di Russo rimane impassibile, un po’ annoiato, non di certo sbalordito.
Gli attori in scena sono bravi, anche se la recitazione a volte un po’ urlata perde quell’ironia beffarda eduardiana che sapeva essere tagliente più di una lama. Quello di Gabriele Russo de La grande magia è un allestimento, insomma, che non rende pienamente giustizia al grande De Filippo e che lascia il pubblico tiepido laddove avrebbe dovuto infiammarlo.