[rating=2] Il disturbo da personalità borderline è forse uno dei più indagati non solo in ambito clinico; rock star, dive, menti geniali, personalità di lettere, scienziati in ogni dove pare ne siano stati colpiti, a volte sul serio, a volte si è trattato di attribuzioni un pelino mitizzanti, il teatro da par suo non è mancato all’appello.

L’esperimento di Fabrizio Catarci al teatro Lo Spazio si presentava dunque con tutte le “devianti” premesse del caso, peccato però che la deviazione sia stata poi del tutto fuorviante. Premesso che uno studio un po’ più approfondito del disturbo borderline in sé non avrebbe guastato e probabilmente avrebbe dato i suoi frutti in ambito creativo, ma gli spettacoli multipli a loop non sono questo uovo di Colombo, senza contare che dopo Dignità autonome di prostituzione (leggi la recensione) chiunque si avvicini anche solo vagamente a questa struttura drammaturgica, deve essere sicuro almeno di eguagliare i predecessori e qui ahinoi il buon papy Melchionna più che eguagliato, c’è sembrato bellamente scopiazzato. Peccato sì, perché entrando nella sala buia illuminata solo da rade luci rossastre col vociare confuso dei vari attori sparpagliati in più punti della scena, sembrava quasi di essere nella scatola nera del cervello ottusamente caotico di un borderline immaginario. Invece no. Grappoli di spettatori potevano assistere a vari monologhi, tutti a livello di scrittura scenica senza infamia e senza lode,  tristemente carenti di originalità, una copia semplificata di DADP .

Bravi tutti (quasi) gli attori, menzione speciale per il killer e la psicologa pazza, ma infine di tutto il carrozzone pseudo-psicotico che ha malamente reso una delle anomalie comportamentali più affascinanti dell’essere umano, non ci resta che questo amabile studio di “gestione e comprensione dell’affetto romantico”, che ci propina una superba attrice, la più genuinamente “di confine” fra lucidità e follia, dal viso assolutamente indimenticabile.

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