
Ah Filippo Dini! Il suo è uno di quei nomi su cui puntare sempre. È per me da anni entrato di diritto nel mio personale Olimpo di miti teatrali viventi. Ivanov, La guerra dei Roses, Misery e il più recente Agosto a Osage County sono solo alcune delle sue regie uniche, a cui di fatto si aggiunge anche quella de I Parenti Terribili. Il piccolo capolavoro di dark comedy di Cocteau in scena al Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 14 al 19 gennaio è infatti una perla.
C’è da dire che si parte già con un testo di quelli drammaturgicamente fortissimi, frutto del genio di un autore che ovunque abbia posto mano in un settore dell’arte, lo ha fatto brillare. Posso tuttavia affermare di aver visto anche delle opere immortali sbranate malamente sulla scena. Non è questo il caso, la regia di Dini esalta il testo di Cocteau e lo restituisce al pubblico con un taglio di straordinaria contemporaneità.
La storia è quella di un nucleo parentale recluso in sé stesso, fra le quattro pareti di casa, dove si consuma il rapporto morboso (al limite dell’incesto) fra Yvonne e suo figlio Michel, un giovanotto esuberante che la chiama Sophie anziché mamma. George il padre di famiglia è dal canto suo distratto dalla creazione di improbabili invenzioni nel suo studio, mentre l’unico ago della bilancia delle sorti famigliari rimane Léonie, sorella di Yvonne. La donna ha amato in gioventù George, che però ha deciso di cedere alla sorella, pur non avendo smesso di provare sentimenti per lui.
Tutto cambia improvvisamente quando all’interno del quartetto irrompe Madeleine, venticinquenne di cui si innamora Michel, senza sapere che la giovane è l’amante mantenuta del padre. George confessa il misfatto a Léonie, che spinge il cognato ad allontanare la ragazza dall’improvvido Michel. Anche perchè Yvonne irrompe nell’incipit dello spettacolo rischiando di uccidersi con una puntira di insulina, quando il figlio passa per la prima volta la notte fuori. Il suo teatralissimo dar di matto successivo è una conseguenza più che prevedibile. E infatti, copione alla mano, Yvonne è sconvolta dalla potenziale perdita del figlio più che dalle corna del marito.
Sembrerebbe una trama alla Feyedeau, ma Cocteau di quasi tren’anni più giovane del commediografo considerato l’erede di Molière, aggiunge uno spirito più oscuro. La satira borghese cede il passo alla denuncia e mette a nudo le storture di una famiglia “bene”.

Tutto funziona a meraviglia. La scena si muove intorno ai personaggi come un terzo incombente soggetto, che si alza e si abbassa a dividere ambienti e situazioni, mentre le ombre della famiglia si muovono piano a srotolare segreti e lenzuola. Ma a farla da padrone sono loro, gli attori. Quasi pedine in un ideale Risiko umano, in un’atmosfera di luci e costumi di saturazione alta che li fa risaltare nel bianco, ma li lascia parimenti in balia del vento del caso, come figurine staccate.
Innanzitutto una strepitosa Mariangela Granelli nei panni di Yvonne, la madre possessivissima che esercita con irresistibile violenza l’amore per il figlio Michel, un braverrimo Cosimo Grilli. Vittima suo malgrado del complesso edipico e diviso fra l’amore per la madre-amica-bambina e Madeleine (Giulia Briata) che si muove briosa sulla scena come una Jane Fonda da palco. Poi c’è lui.
Che devo scrivere di Filippo Dini? Questa regia perfetta e senza sbavature basterebbe già a incensarlo, ma in più mi recita anche. Fantasticamente. Il personaggio di George dapprima quasi in disparte, si schiude pian piano al pubblico mostrandone la comica debolezza di uomo di mezzà età innamorato di una ragazza più giovane. Ma pure la tremolante decisione di padre di salvaguardare il figlio da certe trappole del cuore. Da cui lui stesso fatica a districarsi. Perfetto. Non posso tuttavia non terminare sulla splendida immensità di Milvia Marigliano, una Léonie semplicemente indimenticabile. Sotto ogni punto di vista. Sue le battute principe del dramma “non rovistare nel cuore, nel cuore c’è di tutto” e “le donne devono seppellire” con cui chiude fatalmente il cerchio della farsa sul letto di chi “è nato per la morte e non per la vita”.
Mentre dunque ritorna il tema di una sposa nuovamente negata, magistralmente reso dalla scena della vestizione, Milva-Léonie è ancora il bilanciere di tutte quelle sorti maledette e intrinseco architrave di una sofferta coralità famigliare. Quasi non riuscisse in fondo a sfuggirgli. Immensa. Comica, astuta, brillante offre al suo personaggio una poliedricità da consumata professionista, su cui non si può far altro che rovinarsi i palmi di applausi. Per lei e per tutti. Bravi, bravi, bravi!