
[rating=5] Dopo un lancio un po’ incerto, con un primo script che non aveva appassionato il pubblico romano, forse per pigra lontananza geografica o mal congegnato adattamento (Una tigre del Bengala allo zoo di Baghdad) e poi il soporifero seguito di De Bei ravvivato unicamente dalla bravura della Quattrini (Tempeste Solari), si cominciava a chiacchierare un po’ malignamente delle sorti del redivivo teatro capitolino, ma mentre buona parte della critica già decretava sommessamente un destino nero per la scena di via nazionale, ecco che arriva Filippo Dini e il suo Ivanov. Semplicemente un capolavoro. S’intenda già il testo di suo è quanto di meglio possa offrire la prosa, ma l’allestimento e l’interpretazione del bravo Dini lascia davvero estasiati.
Tre ore che scorrono nella più fluida vivacità con una platea pienissima e partecipe che riempie il cuore di chi ama il teatro. Si rischia la banalità forse, ad incensare con tanto trasporto un grappolo d’attori fantastici, ma che giova il riserbo troppo spesso declinato al massimo in striminziti giudizi di gradimento? Bando allora all’approvazione contrita, l’Ivanov di Dini è assolutamente meraviglioso. La storia, com’è noto, è quella di un nobile possidente che non ama più la moglie malata di tisi e si illude di poter riaccendere di vita le sue fiacche giornate sposando, dopo la morte di lei, la giovane Sacha la quale come la prima consorte, Anna Petrovna, dispone di una ricca dote che tuttavia, proprio come il primo matrimonio, non vuole essere concessa dalla famiglia della sposa. Ma chi è davvero Nikolaj Alekseevič Ivanov? Un uomo provato dalla sua stessa esistenza, annoiato, svuotato, inerme di fronte a quel male di vivere a cui non sa dare nome, mentre tutti attorno a lui credono di poterlo giudicare o guarire.
Un dramma filosofico ammantato dalle battute della commedia, in grado di restituire nelle declinazione diniana tutto il suo fasto decadente, con scambi e confronti ancora attualissimi a distanza di oltre un secolo. Bravissimi tutti gli attori senza distinzioni, perfetta la regia, con un Filippo Dini che veste anche i panni del protagonista, una fortunata annata la sua allo Stabile di Genova, dalla quale fra gli altri è uscito Paravidino, suo compagno di corso e avventure teatrali varie. Menzione speciale alle scene di Laura Benzi, ottime le luci, le musiche, insomma non c’è nulla che non sia al posto e al momento giusto, c’è solo da chinare il capo e applaudire.