
Qualcuno direbbe che per far uscire l’Italia dalla crisi ci vorrebbe solo un miracolo. Chissà se basteranno Sant’Ambrogio, San Pietro e San Gennaro, i tre Santi più rappresentativi del nostro Bel Paese, che in “Oggi sto da Dio”, commedia con Sergio Assisi e Bianca Guaccero per la regia di Mauro Mandolini, dovranno affrontare l’oneroso compito. I tre sono stati convocati direttamente da Dio, che ha deciso di prendersi una pausa e vuole capire chi possa sostituirlo. Il prescelto sarà colui che supererà le prove, per nulla facili, a cui verranno sottoposti. I tre Santi dovranno dimostrare che per l’Italia c’è ancora una speranza di salvezza. Dopo una lunga e fortunata tournée lungo la nostra penisola, la pièce sarà dal 29 aprile al 17 maggio al Teatro Diana di Napoli, città del suo protagonista maschile, nonché sceneggiatore e produttore, che abbiamo raggiunto telefonicamente alla vigilia di questo debutto.
Sergio, ritorna nella sua città nelle vesti di un personaggio particolarmente caro ai napoletani: San Gennaro.
“Sì, tenendo conto che si tratta di una commedia. L’emozione è legata all’impatto con la mia gente. Ho sempre timore del popolo napoletano per quanto riguarda la risposta a teatro perché qui la cultura teatrale è molto radicata. E’ anche vero che lo spettacolo ha riscosso in tutta Italia un enorme successo di pubblico, e spero che anche la mia città risponda allo stesso modo, nonostante l’atteggiamento e la preparazione diversa del popolo partenopeo”.
Ma i suoi conterranei le vogliono bene…
“Lo spero”.
E poi questo spettacolo tocca un argomento attuale, la crisi degli italiani, che non può non essere di interesse.
“Assolutamente. E’ un testo che senza voler fare nessuna morale ma con leggerezza attraversa il momento del Paese, offre la possibilità di sorridere e di riflettere. Essendo una commedia ha un sapore divertente, ironico, scherzoso. Ma alla fine te ne vai con la riflessione giusta su quello che stiamo vivendo. Qualcuno ha detto che alcuni temi sono stati affrontati in maniera superficiale, ma l’abbiamo fatto volutamente, altrimenti avremmo fatto un altro tipo di spettacolo: una commedia deve comunicare speranza ma è pur sempre intrattenimento”.
Lei che svolge una professione privilegiata, come la vive questa crisi?
“Non sono d’accordo sulla professione privilegiata, in realtà è una professione come tante, che nasce da una scelta profonda e anzi molto più sofferta di qualsiasi altro lavoro. Specie in questo momento di crisi, tra le prime posizioni dei mestieri più bistrattati e sottostimati direi che c’è quella dell’attore. Ormai, com’è noto, in questi momenti si taglia sulle cose che si ritengono inutili, come l’arte e il teatro, e questo è uno dei più grandi errori che alcune società commettono. Da quando un politico disse che con l’arte non si mangia si è potuto capire il metro di giudizio rispetto al nostro mestiere. Anticamente gli attori venivano seppelliti fuori dalle mura delle città, e la paura è che si ritorni a questo, che non ci sia più considerazione per noi. Non c’è polemica in queste mie dichiarazioni, ma sono un modo per dire che i più non sanno quello che c’è dietro il nostro lavoro. Quando viene una persona a teatro e vede uno spettacolo di un’ora e mezza non immagina che dietro c’è un anno di lavoro e che a quel progetto hanno preso parte decine e decine di persone. Forse un tempo, quando c’era il divismo, c’erano altre situazioni, ma oggi in Italia fare l’attore è all’appannaggio di tutti. Ognuno si può svegliare la mattina e di punto in bianco recitare, cosa che in Francia e Inghilterra non è neanche pensabile”.
Non è che sta valutando di andare a lavorare all’estero?
“Ho già lavorato fuori dall’Italia e ogni tanto mi viene la voglia di andare via, come credo venga al 99% della popolazione. Ma poi l’amore per la propria terra ti tiene legato. Mi sembra più facile scappare che restare e combattere. Io, fino a che ho le possibilità di fare quello che desidero, rimango nel mio Paese. Spero solo di riuscire a farlo fino in fondo”.
“Oggi sto da Dio” segna il suo ritorno al teatro. Questa scelta è stata dettata dalla mancanza del palcoscenico o dal fatto che cinema e tv al momento non le offrono ruoli stimolanti?
“Spesso in Italia il teatro viene visto come un’attività secondaria. Quando arrivai a Roma, più di venticinque anni fa, mi chiesero cosa avessi fatto. Quando gli dissi che avevo alle spalle più di dieci anni di teatro mi domandarono: “Solo?” In Inghilterra non sarebbe mai successo, il teatro è teatro, tutto il resto nasce dopo. Dunque fare teatro non è un ripiego, ma una scelta. In un momento in cui non c’era niente di interessante e ho avuto del tempo da dedicare a un progetto importante, mi sono voluto lanciare con la mia società, che si chiama “Quisquiglie”, in questa produzione teatrale. Non sono mancati problemi e difficoltà, proprio perché di questi tempi investire con i propri mezzi è un rischio altissimo, ma questo non ci ha fermato dall’idea di voler fare qualcosa di bello e interessante”.
Sulla crisi lei ha pubblicato anche un libro di immagini, “Noi speriamo che ce la caviamo”, che non è il suo primo libro. Nel cassetto ha un altro testo, magari un nuovo copione o un altro romanzo?
“Mi hanno chiesto un secondo romanzo dopo “Quando l’amore non basta”, edito da Cairo. Ma per scrivere c’è bisogno di tempo, cosa che in questo momento non ho. Mi auguro di trovare presto lo spazio per questo nuovo libro”.
Oggi a che punto della sua carriera si sente?
“Non credo ci sia un punto di arrivo, in realtà ci sono ostacoli. Penso che non si arrivi mai, ma che si debba percorrere una strada dove dopo un capolavoro può anche esserci un fallimento e viceversa”.
Il lavoro di cui è più fiero?
“Forse il primo, per un fatto affettivo. Si tratta del film “Ferdinando e Carolina” di Lina Wertmuller, che ha rappresentato anche il punto di partenza per altri lavori”.
Progetti?
“Ad ottobre uscirà al cinema “A Napoli non piove mai”, anche questo prodotto da me. Ora, invece, stiamo finendo la tournée teatrale, che riprenderà la prossima stagione”.