L’interrogativa tridimensionalità della mente di Gengè

La Compagnia Laboratorio di Pontedera diretta da Roberto Bacci ha debuttato al Festival del Teatro Era con lo spettacolo Gengè, una performance tratta da un manifesto letterario della soggettività estrema come “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello. Un testo, quello di Pirandello, legato alla ricerca di sé, con una chiave ironica che svela una segreta angoscia esistenziale e che consente al regista una certa libertà stilistica. Roberto Bacci passa dagli eteronomi pessoiani del libro dell’inquietudine, all’inquietante interrogativo pirandelliano sull’identità: siamo uno, nessuno o centomila?

Un dubbio, una domanda, uno smarrimento. Basta un episodio insignificante per far sì che la mente di Vitangelo Moscarda, chiamato dalla moglie Gengè, si fissi di fronte allo specchio per scoprire un piccolo difetto, il naso storto, che la moglie Dida gli dice di aver notato da sempre, e ciò lo induce a chiedersi, pirandellianamente, quale sia l’io che egli crede di conoscere, e quali i molti io che gli altri vedono in lui. Questa insicurezza lo spinge a cambiare vita, a rinunciare a tutto ciò che possiede per cercare la nuda essenza del sé che le sovrastrutture sociali gli impediscono di cogliere. Da qui nasce un rapporto d’amicizia tra Gengè e Anna Rosa, una donna amica della moglie, scialba ed eterea, ma inetta, che per “incidente” rischia di uccidere Vitangelo sparandogli con la sua pistola.
Moscarda finirà i suoi giorni in un ospizio per i poveri, fondato da lui stesso, paradossalmente più felice di prima, nel tentativo di liberarsi di quell’Uno e di quei Centomila, allo scopo di diventare, per tutti e per se stesso, Nessuno.

Il passaggio da Pessoa a Pirandello appare come una tappa obbligatoria per la Compagnia Laboratorio di Pontedera, che abilmente sfrutta il percorso sull’identità e la perdita di essa già affrontato nella produzione di “Abito”.
Lo spettacolo è concepito in maniera sperimentale e ha inizio con un chiaro riferimento al metateatro pirandelliano: un attore seduto tra il pubblico si alza ed entra in una scena scarna, composta da tre sedie vuote, dando il là all’incipit della performance e alla susseguente entrata di due attori. I tre, vestiti con abiti dagli stessi colori, difformi solo nel modello, plasmano corpo e mente di Vitangelo Moscarda, detto Gengè.
Attraverso un equilibrato lavoro registico e attoriale, la narrazione del testo scorre in maniera vivace e dinamica. Ansie, domande, dubbi, voci, echi, emergono dalla fusione dei tre corpi in scena che si uniscono attorno alla domanda: esiste una sola realtà? E’ così che il vero Gengè, rappresentato dal primo attore alzatosi dalla platea, sarà avviluppato dalle sue voci interiori, da renderlo pazzo alla vista degli altri.

Una versione sicuramente diversa dalle classiche, quella che Roberto Bacci ha proposto con la sua interessante regia, che fornisce tridimensionalità al personaggio mantenendo intatta la narrazione della storia. Lo spettacolo acquista subito un ritmo andante mosso, che mantiene cadenzato per tutta la durata dell’opera, come i pensieri incessanti nella mente di Gengè. I legami angoscianti di Moscarda, i suoi equilibri instabili e la recondita precarietà del personaggio affiorano con una divampante forza introspettiva, che comprende tutti i satelliti che ruotano attorno a Gengè: dalla moglie Dida all’amica Anna Rosa. La regia amalgama in modo sapiente parola, gesto, movimento e narrazione.

Eccellente il lavoro di ricerca fatto dai tre attori in scena, Savino Paparella, Francesco Puleo e Tazio Torrini, sicuramente aiutati dalla precedente esperienza in “Abito”, capaci in ogni caso di portare alla luce le infinite sfaccettature e gli stati d’animo del personaggio. I tre appaiono fin da subito presenti dentro il lavoro che mostrano di aver fatto proprio con cambi di ritmo, di timbrica vocale (compreso il dialetto siciliano, originario del testo) e movimenti fisici che bilanciano il piccolo spazio scenico.
D’effetto le musiche composte da Ares Tavolazzi, le cui note profonde si insinuano tra le righe della piéce.
Brillante la drammaturgia di Roberto Bacci e Stefano Geraci, al cui interno gli attori giocano con il corpo, con la mimica, senza mai cadere nel banale e nel didascalico, passandosi come testimone lo sviluppo del racconto, che giunge integro agli spettatori più attenti in sala, che possono solo applaudire questa piccola perla di teatro.

Lo spettacolo è in replica presso il Teatro Era di Pontedera fino a domenica 4 dicembre.