
Torna al Comunale di Firenze la più celebre delle opere di Rossini, ovvero Il barbiere di Siviglia, nel pittoresco allestimento firmato da Carlos Plaza per la regia e Sigfrido Martìn-Begué (scene e costumi).
L’opera mostra subito toni piuttosto fiacchi, fin dalla meravigliosa ouverture, resa senza eccessivo estro dal direttore Antonio Pirolli, sobrio e fedele alla partitura, ma mal supportato da una poco attenta orchestra che compie palesi scivoloni nelle parti di ottoni e percussioni.
Le ormai ben note scenografie dell’estroso pittore spagnolo Sigfrido Martìn-Begué, autore per il Comunale fiorentino anche di deliziosi bozzetti e figurini per il balletto Coppelia, continuano a mantenere il loro fascino burlesco e surreale, collocando l’azione in una Spagna coloratissima e di fantasia, con prospettive deformate in siparietti e quinte che si susseguono in un clima festoso e bizzarro, ricco di un frenetico andirivieni di comparse, quali ballerine di flamenco, suore e servitori.
I costumi concorrono a dar vita a personaggi grotteschi e caricaturali, macchiette farsesche sotto la brillante regia di Carlos Plaza che tuttavia sembra mettere non completamente a proprio agio i protagonisti. Ecco allora Antonino Siragusa nei panni di un Conte d’Almaviva un po’ stanco, dal fraseggio poco fluido ed il timbro talvolta tirato, anche se con sprazzi di bravura, come nella celebre canzone accompagnata alla chitarra “Se il mio nome saper voi bramate”. Laura Polverelli è una Rosina poco disinvolta, che tenta malizie con rigidità e mostra un timbro privo di quella freschezza necessaria alla giovinezza del personaggio, con problematiche nei registri alti. Anche Vito Priante si mostra un Figaro piuttosto spaesato, poco convincente e con qualche insicurezza che copre l’esuberanza del ruolo.
Veri e unici protagonisti della serata, i più applauditi, sono stati Don Bartolo e Don Basilio.
Al suo ingresso, il Don Bartolo di Bruno de Simone ha letteralmente risollevato la situazione piuttosto piatta e dolente che si stava creando, dominando il palcoscenico con la sua dirompente verve buffonesca fatta da un’ottima mimica ed una perfetta dizione, trasmettendo brio e comicità anche agli altri interpreti.
Nicola Ulivieri, Don Basilio sparuto e grottesco, si è dimostrato deciso e convincente nella parte, mostrando un’emissione nitida e piena, meritandosi a pieni voti i ripetuti applausi nella celebre cavatina “La calunnia è un venticello”.
Non male i personaggi minori, quali il caricaturale Ambrogio di Enrico Rotoli, il Fiorello di Gianluca Margheri, gradevole anche se palesemente emozionato, lo stranito Ufficiale di Nicolò Ayroldi e la simpatica ma modesta Berta di Laura Cherici.
Pubblico non entusiasta, gramo di applausi.