
[rating=3] Teatro pieno, fra platea e gallerie, per l’attesissimo spettacolo per tutta la famiglia Trappola per topi di Agatha Christie al Duse di Bologna.
Il brusio della sala viene sopito da un suono di vento lontano, come una tormenta di neve, ma costituito da una traccia di una manciata di secondi ripetuta troppo a lungo…si inizia subito male ma fortunatamente è l’unico appunto che si riesce a fare al tecnico del suono, che nel resto dello spettacolo non sbaglia praticamente altro, incorniciando i momenti salienti della narrazione con garbo e delicatezza.
Il legno scuro alle pareti e le luci soffuse delle applique rendono ottimamente l’ambiente invernale di una vecchia casa sperduta nelle campagne inglesi, appena adibita ad affittacamere dai signori Ralstone. La radio accesa parla di un efferato omicidio avvenuto nella poco distante Londra, una vecchia signora è stata uccisa con alcune coltellate da un uomo che ha fatto poi perdere le proprie tracce. Il clima “giallo” fa già capolino, l’omicidio turba subito l’animo della signora Ralstone, ma la quotidianità riprende immediatamente il sopravvento. Questa è, se vogliamo, la particolarità più forte del giallo di Agatha Christie che ci accompagnerà fino alla fine, cioè il fatto che le notizie o i particolari che potrebbero aiutare a dipanare la vicenda arrivano sempre un po’ per caso, mentre i personaggi sono intenti a fare altro, e anche il pubblico li registra soltanto a livello inconscio, per poi essere ripresi ed approfonditi in un secondo momento.
Iniziano ad arrivare i primi ospiti, stravaganti personaggi molto differenti fra loro ma ben definiti: si va dall’eccentrico e picchiatello Christopher Wren, all’ipercritica signora Boyle, passando per l’ambigua e solitaria signorina Casewell, per arrivare al maggiore in pensione Metcalf.
Giunge anche l’inatteso Paravicini, che racconta di essere rimasto impantanato per l’abbondante nevicata che di lì a poco isolerà tutti nel cottage.
I diversi personaggi, dopo essersi presentati singolarmente al loro arrivo, iniziano a interagire fra loro, si sbeffeggiano, si indagano a vicenda, si “annusano”, enfatizzando l’uno i difetti dell’altro. La telefonata e l’arrivo del sergente Trotter della polizia, che sta indagando sull’omicidio sentito poco prima alla radio, tramuta questo clima quasi casalingo in un interrogatorio di gruppo, dove tutti sono allo stesso tempo sospettati e possibili vittime del killer che probabilmente si nasconde tra di loro.
Il precedente “annusarsi” si tramuta ben presto in sospettarsi, nel non fidarsi, anche nel tentativo di far ricadere l’attenzione del gruppo su qualcun altro; tutti infatti pare che abbiano qualcosa da nascondere o almeno di poco chiaro nella loro precedente esistenza, e nessuno vuole vedersi costretto a vuotare il sacco.
L’omicidio della signora Boyle accende gli animi dei sopravvissuti, e l’interrogatorio del sergente si fa ancora più pressante; verrà ricostruita con precisione la scena del crimine, e si potrà finalmente arrivare a capire chi è l’assassino (tranquillizzo subito dicendo che in questo giallo non ci sono camerieri in giro, come più volte ci farà notare la pseudo-borghese signora Boyle).
E’ molto suggestivo vedere come il magnifico testo proposto riesca a farci sospettare, quasi fino alla certezza di colpevolezza, di un personaggio che solo dopo pochi minuti riterremo assolutamente innocente perché saremo convinti che l’assassino sia un altro. E’ questo uno dei molti punti di forza del giallo, insieme alla sua pulizia linguistica e morale, e a quel pizzico di comicità che tiene letteralmente incollati alla visione.
Il testo è stato ben analizzato ed enfatizzato da Stefano Messina, ma lasciato praticamente immutato, dato che, nel susseguirsi di domande e risposte dell’interrogatorio, una informazione in più sarebbe troppo rivelatoria, mentre una in meno diminuirebbe l’attenzione e la suspance. Si è sempre sul filo del rasoio, e onestamente risulta difficile pensare a come migliorare qualcosa che rasenta la perfezione nel suo genere, forse secondo solo, se me lo consentite, a “Dieci piccoli indiani”, della medesima autrice.
Ottimo lavoro di regia, specialmente sugli attori: non si assiste, come nella maggior parte degli spettacoli, ad una scena con 1-2 personaggi principali, attorniati da 4-5 personaggi secondari e da una schiera di comparse. In questa commedia-giallo tutti sono importanti, ogni personaggio ci racconterà un pezzo di se e si prenderà il suo tempo per renderci partecipe di cosa agita il suo animo, di cosa muove la sua mano, del perché si trova lì in quel momento. Ed è in questo lavoro di gruppo senza primedonne che gli attori hanno saputo dimostrare il loro ottimo livello, sia individuale che comune.