
Apparentemente semplice, ma in realtà ben più complesso e articolato, è il meccanismo narrativo a più voci messo in campo da Gisèle Vienne, coreografa e regista franco-austriaca, in L’Etang. Il testo intimo e giovanile di Robert Walser, è stato straordinariamente interpretato dalle due attrici, Adèle Haenel ed Henrietta Wallberg. Lo spettacolo andato in scena al Teatro Fabbricone di Prato, ha sancito l’apertura del Festival Contemporanea 2022.
La scena è un’enorme scatola bianca, dalla quale emergono un letto e dei corpi dislocati nello spazio. Siamo nella camera di un adolescente. Caramelle colorate disseminate sul pavimento, lattine, un piccolo stereo, creano un disordine asettico e statico. L’assenza di movimento iniziale è amplificata da dei manichini vestiti con abiti da adolescenti posizionati sopra e intorno al letto. Le pose realistiche si scontrano con la glacialità delle marionette a grandezza naturale, fornendo fin da subito un sottofondo estraniante.

Musica elettronica a tutto volume accompagna l’ingresso di un macchinista che prende in braccio i pupazzi uno ad uno, portandoli fuori. Entrano a passo lento le due attrici, prima Adèle Haenel, capelli corti e outfit sportivo da ragazzo con sguardo assente, seguita da Henrietta Wallberg in jeans e maglione bianco, una fredda madre dalla cadenza austera ma leggera, che manterrà per tutta la performance.
Con queste poche tracce inizia l’immersione nello stagno (L’Etang), dove il disagio interiore del giovane Fritz, alla ricerca disperata di amore da parte della madre, lo porterà ad inscenare il suo annegamento. Un urlo sommerso, quello del giovane, che raschia i fondali fangosi di una famiglia sorda e inquietante.
Una storia che svela una violenza domestica in piano e forte, con incesto in sordina.
Solo l’arte del teatro può liberare il personaggio dal suo ruolo di marionetta.
Così i personaggi/marionette di Gisèle Vienne si muovono in uno spazio dai tratti contemporanei, ma dall’atmosfera metafisica, come burattini dai passi sospesi, azionati lentamente da una mano invisibile, assente e vacua come lo sguardo di Fritz.
Le parole sono echi che risuonano dal profondo, ed emergono dalla minima fessura della bocca. Come ventriloque, dissociate e distanti, Adèle Haenel con più tonalità dà voce a Fritz, al fratello Paul, alla sorella Clara e agli amici, mentre Henrietta Wallberg a quella della madre di Fritz, la madre di un amico e del padre del giovane.
Frasi frammentate che svelano la sofferenza e la tensione di Fritz, in un soliloquio a più voci, dove l’unico momento d’incontro tra le due figure in scena è un lento avvicinarsi che porta le due attrici a scambiarsi una sigaretta. Punto di contatto interrotto.
Lo spettacolo acquista un’intensità crescente, tanto ammaliante quanto sconcertante, grazie anche alla colonna sonora elettronica di Stephen F. O’Malley & François J. Bonnet e alle luci fluorescenti di Yves Godin.
La regia della visionaria Gisèle Vienne, pupara occulta, formata alla famosa scuola di Charleville Mézières, dipinge un quadro a tinte oscure, surrealiste e a tratti orrorifiche, un sentimento di abbandono e spaesamento che penetra e ci accompagna oltre la soglia del teatro.
Solida la performance di Henrietta Wallberg, che porta in scena una figura algida e sinuosa, dal passo etereo, distante, a ritmo scandito segue linee rette che non si intersecano mai. Grande prova d’attrice per Adèle Haenel, minuziosa, fragile e potente, ci rimanda tutto l’orrore trattenuto in una tensione emotiva e fisica agghiacciante.
L’Etang è un’opera completa dove movimento, voce, suono e luci fluiscono a ritmo cardiaco, ampliando la percezione del dramma nello spettatore, portandolo a percepire l’orrore dietro il minimo gesto.