
[rating=3] Dall’incontro tra due grandi artisti nasce sempre un capolavoro? No, a volte si ottiene qualcosa di “semplicemente” interessante. E’ il caso di Letter to a man, spettacolo andato in scena la scorsa settimana al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi di Spoleto, in occasione della 58esima edizione del Festival dei Due Mondi.
Letter to a man – un progetto di Change Performing Arts e Baryshnikov Productions commissionato da vari enti e soggetti tra i quali il Festival dei Due Mondi, con la produzione esecutiva della Fondazione CRT Milano – nasce dalla collaborazione tra due personaggi che non hanno bisogno di presentazioni, il regista americano Robert Wilson e il ballerino russo Mikhail Baryshnikov, alla loro seconda esperienza artistica insieme dopo The old woman, che fu presentato sempre a Spoleto nel 2013: Letter to a man, diretto da Wilson che ne ha ideato anche le scene e le luci, è tratto dai Diari di Vaslav Nijinsky, il grandissimo ballerino e coreografo che nei primi anni del Ventesimo Secolo illuminò con il suo genio i palcoscenici d’Europa e d’America, prima di precipitare nella spirale della malattia mentale (i Diari furono scritti nel 1919, nella fase iniziale della follia che avrebbe afflitto Nijinsky per il resto della sua vita).
In Letter to a man i brani dei Diari scelti per lo spettacolo vengono recitati in versione “doppia” (in inglese e in russo) da due voci fuori campo che accompagnano la performance fisica e coreutica di Baryshnikov, che con i suoi gesti e le sue azioni interpreta un Nijinsky alle prese con la malattia che affida alla pagina scritta le sue osservazioni e i suoi pensieri, nei quali è chiaramente percepibile la presenza ingombrante e terribile del disagio mentale. La recitazione quasi esclusivamente fisica di Baryshnikov (sono pochissime le battute che pronuncia) e le invenzioni visive e scenotecniche di Wilson (una sedia collegata a un meccanismo che la fa andare su e giù e la fa capovolgere, citazioni magrittiane, proiezioni di video, enormi fiori finti che vengono calati dall’alto ecc.) interagiscono bene tra di loro e riescono – soprattutto la performance di Baryshnikov – a rappresentare in modo efficace la sofferenza di un uomo che si sta isolando sempre di più dalla realtà che lo circonda.
Letter to a man è uno spettacolo accattivante che tuttavia non riesce ad ammaliare fino in fondo, ineccepibile dal punto di vista tecnico e davvero benfatto dal punto di vista formale, ma appunto forse un po’ troppo focalizzato sulla “forma” piuttosto che sulla “sostanza”, uno spettacolo che piace senza tuttavia riuscire a mettere in subbuglio l’anima dello spettatore.
condivido appieno la sua recensione in quanto le due voci fuori campo riducevano barhisnikov un po troppo a strumento di movimento e ne penalizzavano le doti d’attore quindi congelando la pazzia a un esercizio di stile quanto piuttosto di emotivita’