L’Edipo re firmato Isidori

[rating=2] Un enorme piramide con uomini che infilzano cavalli. Nessuno entra in scena per alcuni secondi, poi improvvisamente il pannello si anima, uno strappo e ne escono individui con mimetiche.

“So che volete me, fonte di tutto..Ricordate che anche il male fluisce nel grande bene, perciò bisogna lavare quel sangue col sangue”: che la storia abbia inizio.

In una Tebe devastata dalla peste, Edipo suo re e mentore, invia suo cognato Creonte a interrogare l’oracolo di Delfi. Si snoda la vicenda del re di Tebe e si avverte l’eco della traduzione che del testo fece Hölderlin. Creonte infine ritorna, Edipo lo guarda impaurito, nascosto, non vuole ascoltare l’ enorme sventura: l’uomo che Edipo cerca è lì con lui, straniero solo all’apparenza.

Arriva tutto il coro, così simile alle streghe di Macbeth, che attende il terribile verdetto. Ma Edipo finché non vede non crede, è un Bukowski ubriaco e dondolante che ascolta impaurito una Giocasta “incastonata” in una struttura a farfalla che cerca di tranquillizzarlo.

Ma ormai il velo è stato squarciato. E scontrarsi contro la vita è un’illusione perché “la rete del demonio imprigiona fatalmente l’umanità”.

Una regia che sceglie volutamente di mettere da parte i riferimenti mitologici per evidenziare gli aspetti sonori e poetici del testo, scelta discutibile che di fatto non apporta alcuna significativa chiave di lettura alla tragedia di Sofocle.

Per quest’Edipo re, Daniela Dal Cin immagina uno scenario prospettico che dà al pubblico l’impressione forte di non essere escluso: una sorta di Ziqqurat attrezzato con passaggi segreti, botole e troni semimoventi che si rivela essere un’istallazione -cornice in scena.

All’interno di quest’ambiente si muove abilmente un cast di attori molto bravi, che recitano volutamente sopra le righe, ma tutto questo serve davvero? Il dubbio resta.

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