
Dal 19 al 22 gennaio il Teatro Sociale di Trento è stato avvolto dalla magia dello spettacolo “La Tempesta” di Alessandro Serra che torna a Shakesperare dopo il grande successo di “Macbettu”, vincitore del Premio Ubu 2017.
“La tempesta” è una delle opere shakespeariane più vaste e complesse, che mescola stili e linguaggi diversi e che mette al centro la metafora del potere, dell’uomo, del teatro, della vita.
La trama è nota. Il duca di Milano, Prospero (Marco Sgrosso), esiliato dal fratello Antonio (Valerio Pietrovita) su un’isola del Mediterraneo, trama per riportare sua figlia Miranda (Maria Irene Minelli) al posto che le spetta, utilizzando illusioni e manipolazioni magiche. Con il passaggio nei pressi dell’isola della nave di Antonio, sulla quale viaggiano anche il re Alonso (Massimiliano Donato) e suo figlio Ferdinando (Marcello Spinetta), Prospero scatena la sua vendetta causando il naufragio. Alonso e Ferdinando vengono separati dal naufragio, e ognuno dei due crede che l’altro sia morto. L’ aiutante di Prospero è Ariel (Chiara Michelini), uno spirito che egli ha liberato dall’albero dentro il quale era stato intrappolato dalla strega Sicorace, anche lei esiliata nell’isola anni prima. L’unico vero abitante dell’isola è il figlio di Sicorace, il mostro Calibano (Jared McNeill) che, provocato dalla bellezza di Miranda, tenta di abusarne per generare con lei una nuova razza. Viene perciò punito da Prospero che lo rende suo schiavo. Il mostro incontra Stefano e Trinculo (Vincenzo Del Prete e Massimiliano Poli), due ubriaconi della ciurma, con cui organizza una ribellione contro Prospero, destinata però a fallire. Nonostante i tentativi di Prospero di controllare le vite degli abitanti dell’isola, Ferdinando e Miranda si innamorano e il matrimonio tra i due sarà motivo di riconciliazione tra Antonio e Prospero il quale cessa di utilizzare la magia a scopo vendicativo.
Serra mette in scena una monumentale macchina teatrale di forte impatto visivo: dalla foschia e da un telo nero compare Ariel, che danza nella tempesta come una sirena, con sinuosi movimenti. Passata la tempesta, sul palco prevale sempre il buio e le scene si svolgono su una pedana lignea.
Nonostante alcune parti un po’ lente e un protagonista un po’ debole, dallo spettacolo emerge la riflessione sul potere come ordinamento di una realtà da ricostruire. Non c’è violenza nell’opera, tutto avviene tramite la magia. In questo risiede la grandiosità di questo grande classico del teatro, ci mostra la meschinità della natura umana, soprattutto quella contemporanea in contrapposizione con l’evoluzione di Prospero che si abbandona al perdono e alla compassione.
Bellissimi i costumi che contribuiscono efficacemente al coinvolgimento dello spettatore. In particolare risalta come Prospero sia vestito di bianco esattamente come Ariel e Miranda. Particolarmente intensa e potente l’interpretazione di Calibano, che rappresenta la rabbia dell’invasione della sua terra e della sua cultura, una condizione ben diversa dall’esilio di Prospero. Molto spiritosi e divertenti sono i personaggi di Stefano e Trinculo (Vincenzo Del Prete e Massimiliano Poli) che aiutano a smorzare il pathos dello spettacolo recitando le loro battute in dialetto rispettivamente napoletano e foggiano.
La scenografia ci cattura. Lo spettacolo è denso di effetti di impatto emotivo, come la voce terrifica di un Calibano che si carica del peso di una cesta di rami che tendono al cielo, di simboli soprannaturali come le bellissime maschere degli spiriti e il matrimonio angelico e surreale di Miranda e Ferdinando. Grande attenzione viene posta alla terra e al potere della natura che supera quello dell’uomo, elementi che vengono continuamente richiamati durante lo spettacolo: lo vediamo nella tempesta iniziale, nella foresta in cui si perdono Alonso e Ferdinando.
Il potere più grande però è quello del teatro: i costumi rossi che ondeggiano sull’appendino che scende dall’alto, sono il simbolo di questo incanto la cui forza risiede proprio nella possibilità di entrare in contatto con dimensioni metafisiche.