
[rating=3] Traduzione di Alessandro Serra, adattamento e regia di Marco Plini, la compagnia stabile del Metastasio, con l’aggiunta di nuovi elementi, decide di affrontare un titano del teatro contemporaneo, Harold Pinter. E lo fa con un testo cifrato, La serra, scritto nel 1958, poi accantonato e andato in scena per mano dello stesso Pinter nel 1980 all’Hampstead Theatre. Se la scrittura è una bomba, Pinter accende la miccia. Il regista Marco Plini capisce che il drammaturgo inglese corre arrivando prima degli altri e in scena fa trovare, all’estrema sinistra del palcoscenico, una bici da corsa nuova di zecca.
Dramma visionario, cartavetrato e inquietante, qui l’universo occidentale è descritto come una vasca di squali, dove i pesci più piccoli vengono inghiottiti e gli squali a loro volta pescati e uccisi dall’uomo, o costretti a vivere per sempre in un acquario. Metafora del potere, della schedazione degli individui, dell’asservimento delle masse a un gruppo di pazzi che li manovrano, La serra è un frustino che colpisce la schiena, nello spettacolo di Plini un piumino che fa il solletico.
L’azione si svolge il giorno di Natale in un anno imprecisato, in una città imprecisata. Tutto quello che riusciamo a scoprire è che al centro della scena c’è l’ufficio di Roote, il direttore di un certo istituto, un pò casa di cura, un pò ospedale psichiatrico, certamente un luogo di clausura (forse tortura?) dove gli ospiti, come li chiama lui, hanno perso nome e identità, e vengono riconosciuti solo per numeri. Il suo braccio destro è Gibbs, di cui la dottoressa Cutts è complice, e amante di Roote. Si viene a sapere che una delle pazienti ha partorito un figlio, lo stesso giorno in cui uno dei pazienti è morto. Vita e morte si intrecciano, e come tali vanno registrate, monitorate, confrontate al pari di ogni dato scientifico. I sentimenti sono banditi, i rapporti sessuali tollerati, ma non a scopo riproduttivo. “Bisogna cavalcare con la sella”, dice il direttore. E mentre si ricerca il possibile padre del neonato, Roote dà ordine di sbarazzarsene, mentre Gibbs oppone una certa resistenza, stranamente infastidito dall’idea di separare un bambino dalla madre. Questa è l’unica nota di umanità che attraversa il dottor Roote, spietato poi al pari degli altri suoi coleghi, tuttavia più freddo e meno confuso di Gibbs, che è una macchietta di se stesso, un burocrate ottuso e ridicolo. L’attore Mauro Malinverno fa bingo con l’interpretazione di questo cinico buffone, calcando la mano sugli aspetti satirici e comici del personaggio. Viene accusato erroneamente Lamb, il nuovo addetto alla sicurezza e alle serrature, come l’artefice dello stupro ai danni della paziente. La scena dell’elettroschock a cui viene sottoposto è una delle poche in cui la crudeltà e la tensione salgono ai massimi livelli, e la paura della sottomissione che tutti noi proviamo si insinua sotto la pelle.
Non è dato conoscere il volto dei pazienti, né sapere cosa fanno, a quali cure o esperimenti sono sottoposti. La realtà al di fuori dello studio centrale e quello laterale – di Gibbs- è raccontata dai testimoni in scena, intuita, a volte udita come lunghi sospiri che rendono pazzo Roote. La baracca sta per crollare, ripete spesso, dentro fa un caldo terrificante, fuori la neve è divenuta poltiglia. Questi segnali introducono il delitto finale. Dopo una pioggia di fogli bianchi, una finta nevicata che nasconde le piste, le tracce, Gibbs racconta a un Ministro apparso in scena come un prestigiatore, che alcuni pazienti sono riusciti a scappare e ad assassinare il personale medico, nonché Roote e Cuts. Gibbs, rimasto solo, si autoproclama nuovo direttore, come una tramandazione di vecchia data, e si avvicina commosso al suo nuovo ufficio. Cambiare è nell’ordine delle cose, diceva Roote.
Inquietante Pinter, in quest’opera che mescola il giallo, con il thriller e la fanta-politica, la crudeltà qui è slavata e zittita dalla recitazione brillante e comica del cast. Ma la scenografia azzeccata e le musiche al punto giusto rendono questo adattamento organico, angoscioso. Forse troppo divertente.