La morte e i ricordi di scuola prendono vita ne La Classe

[rating=3] Appena si entra nella minuscola sala del Teatro delle Moline tutto è già al suo posto, nessun sipario gioca a fare l’effetto sorpresa, si può subito familiarizzare con la scenografia, scarna e in toni di grigio, di un’aula di scuola. La costruzione è pulita e ben proporzionata, tutto è ben distribuito nello spazio. Non stupisce che Tadeusz Kantor, autore di questo testo fenomenale quale è La classe morta, abbia un passato di pittore oltre ad essere il fondatore di una delle compagnie teatrali, la Cricot2 (anagramma dell’espressione polacca “ecco il circo”), più innovative e avanguardiste della Polonia degli anni ’70.

I grotteschi personaggi che popolano la classe sono anziani, anche loro in bianco e nero, e ognuno con caratteristiche peculiari come movenze, velocità, gesti, frasi, vestiti, ben definiti. Tutti tranne uno, che entra sornione e resta appoggiato alla parete di sinistra, immobile di spalle al pubblico. La tematica principale che si percepisce è il ricordo, i personaggi si ricorderanno di come erano da giovani a scuola, di cosa cantavano, di come scherzavano, della gita scolastica, di come passavano le loro giornate nell’infanzia. Sono quello che ci si ricorda di loro e nient’altro. Prendono vita i momenti corali, e per certi aspetti quasi rituali e liturgici, ma anche quelli individuali, sotto forma di aneddoti. Si percepisce nettamente la “censura” che il ricordo fa delle caratteristiche minori della persona per esaltare invece quelle principali, esasperando l’uomo ad una macchietta di se stesso. Questo viene arricchito da un uso degli oggetti molto intelligente, come la donna che parla e critica tutti solo coprendosi il volto con una specie di finestra in miniatura, o il ciclista, che non abbandona mai la sua bicicletta e si posiziona nell’ultima fila, anche se poi farà domande agli altri, li interrogherà, come se fosse in realtà il maestro. I vecchietti porteranno in scena anche i loro corpi da giovani, dei pupazzi che pesano sulle loro spalle, come dei fardelli di un’infanzia ormai passata. Li posizioneranno nei loro posti fra i banchi, creando una scena di sicuro impatto visivo.

La presenza che fino ad ora aleggiava sulla scena finalmente si muoverà, è una bidella (in realtà un uomo), ma non appartiene allo schema precedentemente costruito, vedrà i corpi dei bimbi sui banchi come oggetti, mentre pulisce, da sola. È un personaggio inquietante, volubile ed enigmatico, ma al tempo stesso divertente.

Farà la sua comparsa anche un soldato con il fucile, che pare solo marciare e fare movimenti meccanici: non è un personaggio come gli altri ma solo quello che rappresenta, cioè la guerra, un tema vissuto in prima persona e quindi ricorrente in Kantor.

Lentamente ma inesorabilmente si capisce ciò che è ampiamente suggerito sia dall’impianto scenico sia dal titolo, cioè che sono tutti morti, e qualcuno racconterà anche come è trapassato e piangerà ricordandosi la dipartita dei compagni. La violenza della morte entrerà in scena con tutta la sua veemenza quando la bidella, brandendo il suo spazzolone come se fosse una falce, li “colpisce” tutti, uno ad uno. Tutto riparte come prima, loro erano già morti. Questa è una caratteristica peculiare del testo di Kantor (che amava gli happening): si assiste a tanti sketch, con l’inizio dell’uno che fluidamente coincide con la fine del precedente, come tante storie raccontate, o meglio ricordate, che poi riportano gli attori in una posizione “neutra”, seduti sui loro banchi di scuola. E anche in queste storie, si ha sempre un personaggio che se ne sta al di fuori, che fa cose che tutti gli altri non fanno, che si estranea dal gruppo: sarà colui che sta ricordando?

L’unica eccezione è la bidella, un’entità senza regole ma che allo stesso tempo è parte integrante della “vita” dei personaggi, li punisce, li organizza, li sblocca quando qualcosa nel loro meccanismo sembra incepparsi, non è solo la morte ma una sorta di Deus Ex Machina.

Kantor si diverte a giocare e a trattare il tema della morte con leggerezza ed ironia. Ad esempio un personaggio scacciato fuori scena dalla bidella, rientra e si risiede sui banchi di scuola non appena questa gira l’occhio, viene ributtato fuori ed entra di nuovo, come se un defibrillatore invisibile lo riportasse in vita a dispetto della morte stessa.

Lo spettacolo è frutto della collaborazione tra il Teatro Stabile di Bologna e Arte e Salute onlus, associazione nata “ponendosi come obiettivo principale quello di migliorare,  attraverso il lavoro in campo teatrale e nella comunicazione, l’autonomia, la qualità della vita e la contrattualità delle persone che soffrono di disturbi psichiatrici” [testo tratto dalla Homepage di Arte e Salute Onlus]. La lodevole iniziativa ha creato buoni risultati da un punto di vista qualitativo, mettendo in piedi una compagnia in grado di cimentarsi con autori da Pirandello a Pinter, da Pasolini a Brecht.

Salta agli occhi l’enorme lavoro sugli attori da parte del regista Nanni Garella, lo spettacolo risulta fluido anche in una situazione tutto sommato “statica” dettata dai banchi di scuola al centro della scena. Si ricorre sapientemente a molte tecniche teatrali per uscire e rientrare in questa staticità, modulando bene l’uso della voce, del corpo degli attori, della musica e degli oggetti. Gli attori sono bravi, riempiono la scena in modo eccellente (difficilmente si vede un’area del palcoscenico senza un attore che la riempia), sanno tenere a lungo i movimenti con la medesima intensità, segno di un allenamento e una forte predisposizione a questo tipo di lavoro. Purtroppo il loro livello di bravura non è così omogeneo, e questo alla lunga disturba, ma questa è la difficoltà maggiore di un lavoro corale come quello proposto.

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