
[rating=2] Il Teatro Mercadante di Napoli propone in questioni giorni lo spettacolo “La coscienza di Zeno” per l’adattamento, dal romanzo di Italo Svevo, di Tullio Kezich e per la regia di Maurizio Scaparro. Il protagonista del romanzo, Zeno Cosini, prendendo coscienza della sua inettitudine alla vita, pur districandosi tra mille idiosincrasie e malattie immaginarie, sa donare alla propria esistenza, in costante equilibrio precario, slancio utile a superare le tante perplessità esistenziali, con intelligenza ed ironia. Si discosta in questo modo dal mondo che gli ruota intorno, così com’è cristallizzato tra la piattezza delle convenzioni e l’inesorabile routine.
Come ci ricordano le stesse note di regia, per Zeno, “la vita non è né bella né brutta, ma originale”. Ed in parte queste parole possono essere plausibilmente affiancate ad una definizione sintetica dell’opera proposta allo Stabile di Napoli. Infatti la pièce offertaci da Scaparro non può di certo ritenersi “brutta”, date le indiscusse qualità dell’intera compagnia ed in primis del magnetico Giuseppe Pambieri, per la scenografia e per i movimenti di scena, perfetti nel riprodurre le ambientazioni, interne ed esterne, degli spazi architettonici e sociali mitteleuropei della Trieste del 1915.
Né tanto meno “bella”, essendo la caratterizzazione del protagonista estremamente abbozzata e superficiale. Questa si snoda tra la narrazione degli eventi salienti della sua esistenza, conditi a sprazzi da un sarcasmo capace solo di solleticare il facile riso del variegato pubblico in sala. Infine, purtroppo, non risulta per niente “originale”. Seppur garbata ed estremamente elegante, questa messa in scena non aggiunge nulla all’attuale panorama teatrale e sfugge totalmente la necessità di dare nuova forma ad un’opera che già trovò compiutezza quasi un secolo fa.
Il mirabile scopo di avvicinare, con questa modalità di somministrazione, il grande pubblico ai capolavori della letteratura è già da tempo appannaggio della Tv, con le sue produzioni di fiction.