
[rating=3] Un uomo seduto su una valigia, ai suoi piedi foglie sparse di un autunno appena passato. Un foglio sgualcito tra le mani. “E poichè non ho mai visto il suo volto la chiamai tra le ombre”.
Forse fu così che la Poesia entrò per la prima volta nella vita di Pablo. E aveva le fattezze di una donna dalla pelle ambrata, dagli occhi del colore del miele e dalla sensualità vorace. Venne dal fiume e con voce suadente lo andò a cercare, trasformando la vita del poeta in un’onda del mare sempre in movimento. Non c’è bisogno che di essere, perchè nella solitudine nascono e muoiono le cose. E Pablo ha bisogno di assaggiare, rincorrere, succhiarla questa vita che sembra sempre colargli lentamente tra le mani, nonostante egli cerchi furiosamente di trattenerla. E le onde si sa non si fermano mai.
Eccolo a Valparaiso con le sue mille scale che a farle tutte sembrerebbe quasi di aver percorso tutte le strade del mondo. E poi Santiago del Cile con la sua frenesia, la sua brutalità. E poi di colpo silenzio. Il suo Cile straziato come la sua anima, gli anni della dittatura e del suo lungo esilio verso l’Europa, verso Parigi.
Il bravo Neruda-Sanna, partendo da un lavoro di composizione testuale, basato sulla raccolta “Memoriale di Isla Negra” e da brevi brani dell’autobiografia, in Isla Neruda compie un viaggio che ripercorre la vita del Poeta cileno, la sua incessante ricerca verso l’ignoto, verso l’essenza stessa della vita.
E servendosi della parola poetica, del corpo, della danza e della musica di un violino che malinconicamente evoca luoghi e persone, crea un’atmosfera surreale in cui risuonano in ogni dove le parole di Neruda che scuotono delicatamente lo spettatore stesso, svelandogli forse il segreto delle cose. “Voglio imparare di nuovo ciò che non sono stato, imparare a tornare così dal profondo che fra tutte le cose naturali io possa vivere e non vivere: non importa essere un’altra pietra, la pietra oscura, la pietra pura che il fiume porta via”.