In “Saved” alienazione e violenza senza retorica

In scena al Teatro Vascello fino al 10 dicembre il degenerato ambiente suburbano londinese descritto da Edward Bond

Se è vero, secondo Herman Hesse, che il principio di ogni arte è l’amore, Gianluca Merolli, ormai alla sua quinta regia, deve aver messo tutto il suo amore per il teatro portando in scena “Saved”, di Edward Bond, un dramma in cui, per ironia della sorte, proprio l’amore è il grande assente ed anche dove esso sembrerebbe ritagliarsi uno spazio finisce col manifestarsi con rabbia e disperazione. Su questo magnifico, e al contempo crudo, testo di denuncia del capitalismo, tradotto da Tommaso Spinelli, il giovane ma ormai affermato regista riesce a creare un lavoro impeccabile, in cui tutti gli elementi che lo compongono, dialoghi, scene, luci e musiche, ci mostrano un mondo povero e violento, in uno scenario di alienazione individuale e collettiva e di squallore urbano. Merolli lo fa operando intelligenti scelte registiche che tengono conto dell’effetto che si produce al momento della trasposizione dal testo alla scena e mantenendo il non facile duplice punto di vista, uno esterno ai personaggi, dando in tal modo l’impressione di una rigorosa oggettività rispetto alle vicende rappresentate, ma anche interno immedesimandosi (soprattutto nell’aspetto a tal punto da sembrare quasi irriconoscibile) nel difficile ruolo di Len, uno dei personaggi principali, e quindi testimone e parte integrante della storia.

L’opera, ambientata in uno squallido sobborgo londinese, narra le vicende di una famiglia (ma forse il termine è azzardato) e in parallelo di un gruppo (ma sarebbe meglio chiamarla gang) di giovani tutti accomunati dalla desolata vita quotidiana; quando fu rappresentata, nel 1965, suscitò scandalo e si attirò le ire della censura per il linguaggio utilizzato dai personaggi, carico di riferimenti osceni, ma soprattutto  per la rappresentazione di una scena di cruda violenza (la lapidazione di un neonato nella carrozzina di cui tutti erano in qualche modo colpevoli). In seguito, però, anche coloro che in principio si erano detti disgustati, dovettero rivedere la propria posizione e presto “Saved” fu universalmente riconosciuto come un capolavoro della drammaturgia contemporanea.

I diversi avvenimenti si svolgono in un interno domestico e in un parco pubblico e sono presentati alternativamente, mantenendo la struttura episodica, tramite una ingegnosa casa su ruote (spinta dagli stessi attori, peraltro con molta agilità e discrezione) divisa in due ambienti distinti, ma accomunati da un’angustia soffocante, opprimente e senza scampo in cui i personaggi sono costretti a vivere e muoversi e che riproduce perfettamente l’immobilità, esistenziale ed emotiva, a cui essi stessi sono condannati, incapaci di porre un freno al disordine delle proprie vite soffocate da un ineluttabile destino di dolore e miseria.

Harry (Francesco Biscione) è il personaggio che forse più di tutti incarna l’incapacità di mutare il destino disgraziato assegnatogli dall’ esistenza, sua moglie Mary (Manuela Kustermann) si trascina stancamente vedendosi sfiorire senza alternative, la loro figlia Pam (Lucia Lavia) è indolente ad ogni iniziativa e chiusa nella sua alienata disperazione, Fred (Marco Rossetti) manifesta il suo carattere rozzo e volgare (il suo “chiodo” parla per lui) e infine Len (il già citato Gianluca Merolli) che, pur palesando una certa inettitudine, manifesta almeno intenzioni migliori rispetto agli altri personaggi. E poi c’è la gang, quelli sporchi (dentro) e cattivi, tanto e soprattutto per noia e mancanza di valori, umanità e prospettive, vittime e carnefici di se stessi: Colin (Michele Costabile), Pete (Giovanni Serratore), Mike (Marco Rizzo), Barry (Antonio Bandiera) e Liz (Carolina Cametti), i ragazzacci che si fanno conoscere dal pubblico cantando già nel fojer con la grinta che poi esploderà in rabbia sulla scena. Un cast che si rivela affiatato, completo e all’altezza dell’impegno e delle aspettative (a cui Merolli ci ha abituati), che interpreta al meglio i personaggi ideati da Bond ed una materia complessa e dinamica, sia dal punto di vista della recitazione che dei movimenti, e ci immerge nei contestati anni Sessanta, ma che a guardar bene potrebbe svolgersi anche oggi che i sassi si gettano dai cavalcavia con la stessa incoscienza e crudeltà.

Notevole è la costruzione della scena: sorprendono ad esempio le entrate e uscite dalla platea, i cambi d’abito fronte pubblico, la prigione fatta con sbarre di fasci di luce; mentre il ritmo dell’azione, fatto di pause ed accelerazioni, lascia intendere che l’opposizione parola/silenzio è un motivo tematico centrale nella caratterizzazione dei rapporti familiari: le pause e i silenzi, che si alternano ai momenti di scambio, anche violento, di battute sottolineano la situazione di disagio e l’incapacità di un dialogo, i personaggi si “scagliano” addosso parole piene di rabbia, incomprensione e disaffezione ed esprimono l’aggressività latente in battute molto brevi ed in conflitti verbali, tutto ciò è funzionale alla loro caratterizzazione, ma contemporaneamente è un modo di denunciare il degrado sociale e culturale in un linguaggio teatrale efficace.

Poiché l’intreccio di rapporti conflittuali costituisce una delle principali tematiche di “Saved”, il dialogo diventa luogo di insidie e di conflitti insolubili e, dunque, l’assenza di comunicazione è la modalità comportamentale che i componenti della famiglia, ma non solo, prediligono.

Uno spiraglio di luce sembra arrivare nella scena finale del dramma, in cui Len ripara la sedia che era stata rotta durante un violento litigio (fisico oltre che verbale), ma come lui è da notare che anche Mary cerca di rimettere insieme i cocci della sua tazza e, forse, i brandelli della sua esistenza. Mentre è sancita l’immutabilità della condizione dei protagonisti, nel simbolismo del riparare viene suggerita la possibilità di un cambiamento e di un futuro migliore, proponendo una visione del mondo più aperta alla soluzione dei conflitti e al cambiamento, per far dirigere il dramma verso una conclusione inaspettata, che è anche una via d’uscita paradossalmente e inaspettatamente ottimista.

Risulta a questo punto assai più comprensibile il senso dell’enigmatico, ma al contempo ironico, titolo del dramma: malgrado il contesto disperato rappresentato, Len è salvo perché sa opporsi al destino di violenza di cui sono vittima gli altri giovani personaggi, perché comprende che “si vive una sola volta”. In questa chiave va letto anche l’episodio centrale del dramma, ovvero la lapidazione del neonato, di cui non si dice mai il nome, quasi fosse un soggetto (o meglio oggetto) neutro, ma che diventerà elemento sacrificale e salvifico: anche se risulta evidente che nessuno dei personaggi può dirsi innocente di quella miserabile fine, in ultima analisi è colpevole la società che ha prodotto condizioni di vita tanto disperate, e chi assiste al dramma è in fondo corresponsabile perché, pur essendo testimone dell’esistenza di meccanismi che generano ingiustizie, violenza e infelicità, non fa nulla per modificare il sistema che regola il mondo. Siamo tutti chiamati in causa. Ed è per questo che ogni spettatore trova un piccolo sasso sulla propria poltrona…… “Saved è quel momento preciso in cui ti accorgi che la pietra scagliata è passata per le tue mani”.

Le scene sono di Paola Castrignanò, i movimenti di Marco Angelilli, la consulenza musicale di Fabio Antonelli, i costumi di Domitilla Giuliano, le luci di Valerio Geroldi, le foto del maestro Pino Le Pera.