Improvvisamente l’estate scorsa, scoprimmo di essere uomini

[rating=4] Il giardino di una villa, selvaggio e lussureggiante, le cui piante protendono i propri rami rampicanti imprigionando una grossa colonna neoclassica posta sul proscenio. E’ questa la scena posta ad epigrafe del dramma che sarà rappresentato e che accoglie in sala gli spettatori accorsi alla prima napoletana del testo di Tennessee Williams, “Improvvisamente l’estate scorsa”, messo in scena per la regia di Elio De Capitani.

Il lavoro di Williams, andato in scena per la prima volta all’Off-Brodway nel ’58, riassume in se la disperata poetica di un autore la cui opera seppe affrontare coraggiosamente, andando contro la censura imperante negli Stati Uniti del secondo dopoguerra, i temi dell’omosessualità, del cinismo e dello sfrenato individualismo da cui esso è generato, della follia e della sua segregazione.

La storia si snoda intorno alla morte improvvisa di Sebastian, giovane poeta figlio della danarosa Mrs. Violet Vernable, avvenuta durante un viaggio con la cugina Catherine. Questa morte, di cui sono ignote le cause fino alla fine, porta alla contrapposizione tra i due soggetti femminili: la madre e la cugina. Catherine,  vittima del trauma subito, non ricorda nulla e permane in uno stato di esasperata agitazione psicologica. Al contempo Mrs. Violet, temendo la verità celata dal trauma della nipote, è spinta, da un istinto feroce e selvaggio di protezione del figlio, a porre fine all’incertezza che la domina, chiedendo al giovane Dr. Cukrowicz di sottoporre la ragazza, in cambio di un ingente finanziamento a favore dell’ospedale dove egli lavora, ad una lobotomia. Intorno ad essi ruotano i familiari, ognuno dei quali legato alle due donne ed alla loro volontà per necessità economiche. Alla fine, dai ricordi di Catherine, riemergono i particolari violenti e scabrosi della morte di Sebastian che nessuno della famiglia avrebbe voluto scoprire, per non rovinare la memoria del ragazzo morto.

Improvvisamente l’estate scorsa - regia Elio De Capitani

La regia, che De Capitani adotta in questa messinscena, dona massimo risalto al conflitto scaturito tra i due soggetti femminili. Accompagna il dittico la figura allegorica, posta al centro della scena, della pianta carnivora detta “la Venere divoratrice”. I personaggi comprimari, i familiari ed il Dottore, si muovono concentrici, intorno all’eredità che Sebastian ha lasciato loro ed al finanziamento di Mrs. Violet, cercando un personale appagamento materiale per poi scivolare anch’essi verso la liberazione della verità.

De Capitani sa fare magistrale ricorso all’uso di suoni dissonanti, selvaggi e bestiali che si stagliano nell’ambiente sospendendo per alcuni attimi l’azione drammaturgica. Quest’effetto esalta, senza eccedere in un espressionismo di maniera, l’angoscioso universo psicologico delle protagoniste, accomunate dall’aver amato ciecamente Sebastian e dal non averne voluto vedere, fino alla fine, la sua vera natura.

Si crea così un trait d’union sonoro tra le ambientazioni in cui il racconto delle due donne si snoda: il giardino tropicale, frutto della cura maniacale di Sebastian, ove si svolge l’azione; la spiaggia tropicale, luogo della tragica fine dello stesso ragazzo; le isole Galapagos, ove madre e figlio assistendo alla nascita delle tartarughe ed all’atroce banchetto che gli avvoltoi fanno con la maggior parte di esse, sono messi a parte del volto spietato del creato ovvero di Dio.

Improvvisamente l’estate scorsa - regia Elio De Capitani

Questo filo, per così dire, acustico conduce a percepire Mrs. Violet e Catherine quali facce di uno stesso personaggio, scisso schizzofrenicamente in due; la madre che non accetta il vero volto del figlio, idealizzato ed invece preda di desideri animaleschi, vuole cinicamente annichilire la voce della nipote per così mettere a tacere la propria coscienza ed estirpare da sé il tormento; Catherine che vaneggia traumatizzata dalla verità che l’ha investita, rinsavisce solo quando narra l’accaduto prendendone coscienza e liberando con quest’atto anche l’animo della zia. Si intravede così in Mrs. Venable, e nel suo complemento Catherine, un’intera società civile che si veste di conformismo per celare a se stessa la propria identità. Ma come detto dal Dr. Cukrowicz – La natura è crudele – e distrugge gli uomini e l’immagine che essi hanno di se; così come quei bambini che divorano Sebastian, ammazzandolo.

Precisa risulta la chiusura con il Dottore che, perso il finanziamento di Mrs. Violet, forse, ha trovato l’eredità di Sebastian seducendo Catherine e la cerca nel giardino ormai liberato dal dramma. Lei, avvicinandosi con occhi infatuati, risponde:” Son qui, anima e corpo”. Su questa battuta la “Venere divoratrice”, illuminata sul fondale in penombra, chiude con uno scatto le foglie dentate, immortalando in un’istantanea la scena e plasticizzando in modo impeccabile i contorni della disillusione per l’amore e più in generale, per i rapporti sociali.

La recitazione estremamente naturalista fa, purtroppo, risentire il suo peso soprattutto nel lungo monologo della confessione di Catherine, risultando eccessivamente melodrammatica e rendendo quasi scenografica la presenza degli altri personaggi presenti in scena.

Ciononostante resta impeccabile la prova di tutta la compagnia ed in particolare di Elena Russo Arman (Catherine Holly) e di Cristina Crippa (Mrs. Venagle).

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