Il Bugiardo: l’impari lotta di Lelio contro l’ipocrisia borghese

Il bugiardo di Carlo Goldoni per la regia di Valerio Binasco

[rating=4] Ormai è una quasi una certezza: ogni volta che una commedia di Carlo Goldoni rivive sul palcoscenico il divertimento è garantito. E non un divertimento fine a sé stesso. A confermare ulteriormente questa sorta di assioma ci pensa il nuovo allestimento, curato da Valerio Binsco, de Il bugiardo, in scena al teatro Elfo Puccini di Milano fino al 13 marzo.

Rappresentato per la prima volta in quel di Mantova nel 1750, lo spettacolo ha come protagonista Lelio (uno spumeggiante Maurizio Lastrico), figlio dell’apparentemente avido mercante Pantalone (Michele Di Mauro); il giovane, nonostante non abbia la necessità di viver di espedienti, ha un piccolo-grande difetto: è un bugiardo seriale, incapace di fare a meno di quelle che lui stesso definisce “spiritose invenzioni”. Invenzioni che lo portano ad inanellare bugie su bugie sempre più roboanti, fino all’inevitabile crollo del castello di menzogne da lui costruito. Ma a ben vedere il suo difetto è alimentato anche dalla creduloneria degli altri personaggi della commedia, tra cui spiccano il dottor Balanzone (Fabrizio Contri) e le sue due figlie, Rosaura (Deniz Özdōgan) e Beatrice (Elena Gigliotti), disposti ad accantonare perfino la parola data e i propri sentimenti davanti alla prospettiva di un avanzamento sociale, reso possibile dal matrimonio con un fantomatico quanto ricchissimo marchese, inventato di sana pianta dal solito Lelio.

Commedia degli equivoci dunque, ma anche una storia in cui Goldoni (si) diverte a dipingere, con il suo solito tono irriverente, una borghesia veneziana chiusa e intenta a osservare il mondo dal suo balconcino, interessata soltanto al proprio tornaconto e desiderosa di scalare il più rapidamente possibile la piramide sociale. Se il copione goldoniano è sicuramente il punto di forza dello spettacolo, non è da meno la messa in scena curata da Valerio Binasco che, pur nel rispetto del testo, tiene bene a mente di “venire dal Novecento”. Questa consapevolezza gli consente di introdurre alcuni elementi di modernità come le scene e i costumi di Carlo de Marino, il quale asciuga all’inverosimile le maschere della commedia dell’arte portando in scena, ad esempio, un tatuatissimo Arlecchino (Sergio Romano) che non rinuncia però ai suoi tratti caratteristici.

Il bugiardo di Carlo Goldoni per la regia di Valerio Binasco

Oltre al giusto mix tra modernità e tradizione, un plauso va anche a chi ha saputo far rivivere il testo del prolifico autore veneziano ossia la Popular Shakespeare Kompany, che regala al pubblico in sala due ore di intrattenimento puro, grazie ad una recitazione che, attraverso un variegato utilizzo dell’ ostico dialetto veneto, riesce a ben differenziare i tanti personaggi in scena. Il risultato finale? Uno spettacolo da applausi. Meritatissimi.

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