
[rating=3] Le parole sussurrate “…attento a Bruto, bada a Cassio, non avvicinarti a Cinna, guardati da Casca…” riecheggiano da dietro tre porte di legno, schierate sin dall’inizio sul palcoscenico drammaticamente vuoto dell’Arena del Sole per lo spettacolo “Giulio Cesare”, scelto dal Globe Theatre di Londra a rappresentare l’Italia durante le celebrazioni delle Olimpiadi di Londra del 2012. La storia del famoso imperatore-dittatore romano è nota a tutti: Cesare, forte delle sue conquiste e del prestigio che fece acquisire a Roma, ne diventò dittatore, eliminando o almeno riducendo i poteri di tutti i possibili antagonisti, senato compreso. La sua ambizione portò alla famosa congiura ordita da Bruto e Cassio che lo uccisero durante le Idi di Marzo del 44 a.C. Il conseguente vuoto di potere vide contrapporsi Marco Antonio ed Ottaviano contro i cesaricidi in una guerra fatta da romani contro romani, che si concluse col suicidio di Cassio e Bruto.
I personaggi della famosa tragedia di Shakespeare, scritta probabilmente nel 1599, vengono fuori a turno da una delle porte e si presentano al pubblico raccontando la propria storia personale. Il testo è interessante: l’introspezione dei vari personaggi delinea le dinamiche di una vera e propria partita a scacchi, con giochi di potere, intrighi e tattiche.
Tutti sembrano fare gli interessi della collettività, ma ben presto si scopre che i romani fanno soltanto da sfondo alla gara, i potenti gonfiano le loro dichiarazioni pubbliche con parole come “democrazia”, “giustizia” e “Roma e i romani” soltanto per raggiungere i propri obiettivi personali. Cesare ovviamente non è da meno, anche se lo conosciamo soltanto per bocca degli altri, dato che è sempre presente nei loro pensieri ma si materializza fisicamente sottoforma di una sedia bucata (il simbolo del potere squarciato?!). Ovviamente la rilettura del testo non segue lo schema a cinque atti originale di Shakespeare ma ne rinfresca le battute, che guadagnano in incisività sebbene perdano in bellezza. Lo spettacolo non è privo di spunti interessanti, come la scena di Pompea, ripudiata da Cesare, che si butta fisicamente fra le braccia di Cassio e Bruto per poi venire lanciata sul palcoscenico come una palla da bowling, rotolando lontano, abbandonata da tutti. Altrettanto interessante l’utilizzo delle porte, che diventano paraventi, scudi, interni di case, persino casse da morto quando Porzia, la moglie di Bruto, muore e viene portata via su una di esse. I cappelli ed i fiori festanti che spuntano da dietro le porte le trasformano nei romani al funerale di Cesare, dove Marco Antonio vacilla a lungo prima di trovare la postura fiera e possente per il suo famoso discorso ai romani. Purtroppo i movimenti delle porte, sebbene mutevoli, si ripetono a più riprese durante le due ore e mezzo compreso intervallo, talvolta con delle serie di ripetizioni che appesantiscono non poco la visione.
La compagnia, fatta tutta di giovani entro i 35 anni, riempie bene lo spazio completamente vuoto del palcoscenico anche se con qualche sbavatura: spesso i movimenti sono precisi e “sensati”, ma vengono accompagnati da battute troppo urlate o che almeno non colpiscono se non per il volume della voce. Questo difetto si vede bene in Bruto, ma si annida anche in misura minore negli altri. Quando poi la finzione entra in gioco, ci si perde: cadere per terra o bussare insistentemente alla porta non può essere mai mimato a teatro! A parte queste sbavature e forse l’eccessiva staticità di alcuni monologhi, il livello recitativo è buono, le luci ben studiate e la regia di Andrea Baracco attenta ai dettagli. Uno spettacolo ben costruito ed innovativo, che però risulta un po’ pesante, ma la tragedia di Shakespeare non è da meno.