Giocando con Orlando: i corpi, i gesti, le parole

Stefano Accorsi e Marco Baliani in Giocando con Orlando, a Napoli al Bellini fino al 5 marzo

È sfida piuttosto ardua, simile a quelle ch’eran soliti affrontare i mitici cavalieri di cui Stefano Accorsi e Marco Baliani raccontano le mirabolanti e complicate gesta: si prende un testo classico della letteratura italiana – se si vuole, uno dei più polverosi e complessi – e lo si porta in teatro, rinunciando tuttavia a mettere in scena facili fascinazioni visive (della serie: potevamo stupirvi con gli effetti speciali) solleticando invece il pubblico con la malìa del linguaggio, della sua struttura, dei suoi infiniti e portentosi artifici. Così questo Giocando con Orlando, scritto e diretto con visibile passione da Marco Baliani su “istigazione” dello stesso Accorsi – così almeno ci viene raccontato in un prologo che comincia in prosa e prosegue in versi e rima baciata fino alla fine, per un’ora e mezza che non pesa per nulla – tiene fede al suo titolo e gioca con le parole, le ottave d’Ariosto, i suoi personaggi umani e bestiali: fare l’Orlando Furioso per un attore solo può essere idea peregrina, ma in fondo Lui, il Poeta, non finiva forse, con molta probabilità, girando di corte in corte, per declamarlo da solo, questo poema dei cavalieri, dell’arme e degli amori, non solleticava forse la fantasia di chi lo ascoltava, a inventarsi boschi e fiumi, scogliere battute dalle onde, erbosi campi di battaglia, desolati paesaggi lunari? A due voci, poi, il gioco è perfetto, prendendo uno la parte del fine dicitore, di chi in fondo si prende sul serio, lasciando all’altro il controcanto del food, del commentar sagace, del disturbo, dell’ironia.

E allora il famoso Orlando di Ronconi, con le sue gigantesche macchine teatrali, la folla d’attori chiamati a ritessere la fitta e travagliata tela del Poeta, qui è solo un ricordo, doveroso e affettuoso insieme, ma si fa altro: nessun costume, nessuna scenografia, nessun ippogrifo farà stupir di meraviglia il folto pubblico accorso qui al Teatro Bellini di Napoli, ad accogliere questo spettacolo che giunge qui dopo già alcuni anni di vita: tutto, tranne la voce e il gesto degli attori, è lasciato all’immaginazione – “fatele voi le torri, le tende, gli accampamenti, i castelli, noi ci metteremo i corpi, i gesti, le parole” – in scena solo cinque praticabili su cui salgono e scendono i due protagonisti e, sul fondo, cavalli “sospesi in una giostra, pronti a muoversi in tondo, come sognanti cavalli di imprese eroiche ancora da compiersi”, sculture di Mimmo Paladino, testimoni immobili e silenziosi di un passato arcaico e poetico che si rifrange nel presente e lo vivifica. E, poi, l’improvvisazione, o il recitar di essa, la carambola del testo e delle varianti infinite, esondando in altri territori, dall’Otello moro del Bardo alla selva oscura del Sommo Fiorentino, l’infinito entrare e uscire dal teatro che gioca a fare il teatro e si guarda mentre lo fa, all’ironia del gesto che rincorre il farsi e rifarsi delle rime infinite e delle desinenze.

Tra le infinite trame che attraversano l’Orlando – impossibile sarebbe tener dietro a tutte, e anzi pure le innumerevoli digressioni dell’Autore diventano materia d’ironia – Baliani sceglie il tema dell’amore e degli amori, del continuo inseguirsi degli amanti: seguiamo le coppie che si perdono, si cercano, si trovano, si perdono per sempre, Orlando e Angelica, Angelica e Medoro, Ruggero e Bradamante; e poi l’infinito repertorio di minori personaggi e il bestiario tutto che l’Ariosto intrecciò sapientemente con gli umani, dall’ippogrifo all’orca, fino al senno perso d’Orlando e alla sua furia, alla ricerca d’Astolfo fin sulla luna, alla riconsegna dell’ampolla al proprietario, in un rincorrersi di fuochi d’artificio verbali, attraversando tutti i generi, dal tragico al drammatico, al comico, al farsesco, interessando il pubblico, che in un silenzio attento, interrotto spesso dalle risa e dai frequenti applausi, ascolta e segue col fiato sospeso, fino a farmi pensare – non so se sia stato fatto – che d’interesse sarebbe certamente utilizzare lo spettacolo con gli studenti a fini didattici, per far finalmente togliere un po’ d’annosa polvere dai corposi volumi dei nostri capolavori ingialliti e dimenticati.