
Richiamando il Bar Sport di Stefano Benni, ma con uno stile più affumicato e allucinato, Animali da Bar della Compagnia Carrozzeria Orfeo è un luogo di atmosfere grunge e punk, dove i Blues Brothers, idealmente, potrebbero bere un drink con Bukowski. A Charles Bukowski si ispira proprio il dramaturg (nonché attore e regista) Gabriele Di Luca per il personaggio incarnato nello spettacolo, tale Swarovski, scrittore nichilista, giudicante, fastidioso come il Barfly (letteralmente moscone da bar) del 1987, film sceneggiato da Charles Bukowski e prodotto da Francis Ford Coppola. Volteggiando dalla narrativa al teatro – passando per il cinema – la scrittura si svela nuovamente come una maledetta benedizione, trasfusione di vita per rianimarsi dal sadismo occidentale e dagli acidi spacciati in televisione e in politica da una società allo sbaraglio – se analizzata a perdita d’occhio. Siamo tutti confusi e incatenati, siamo tutti Animali da Bar, ma cerchiamo inevitabilmente l’altro.
Nell’isola infelice ricreata con una scenografia impeccabile – un bancone da bar rilucente e cupo che si snoda in una curva, campane tibetane che calano dall’alto – prendono forma le esistenze microbatteriche di personaggi interpretati senza retorica e passi falsi, una su tutti da Beatrice Schiros. Attrice di positiva prepotenza, mangiatrice di energia scenica, drammatica e pulp, decisiva e morbida, riesce perfino a svelare lati romantici della sua Mirka, barista ucraina che affitta l’utero per 35.000 euro e beve vodka come una spugna – a cui non ti puoi non affezionare. La circondano una voce registrata, quella di Alessandro Haber (spassoso vecchietto in fin di vita, che parla attraverso una radio), e un ladruncolo con manie suicide, e il buddhista massacrato di botte dalla moglie, e l’imprenditore cocainomane.
Tra qualche luogo comune e una volgarità di troppo, il design delle luci è implacabile come un brano drum&bass e rende appetibile la storia, fatta di catarsi in fronte al cesso o all’eterno bicchiere di birra; di sbalzi d’umore, viaggi mentali, incontri con gli alieni di chi si rifugia nella droga o nell’alcool, per dimenticare abusi e violenza.
Nel tombino fioriscono anche improbabili amori e gesti di compassione – perfino da parte di Swarovski -, si gioca alla roulette russa e si giunge allo strascico finale, dal beat inferiore rispetto all’inizio e alla parte centrale dell’opera. Come andò a finire? Il romanzo sulla Grande Guerra che il cinico Swarovski tentava inutilmente di scrivere, diventa il copione di Animali da Bar, dove si svelano i destini di Colpo di frusta, del nonnetto, Sciacallo e gli altri.
Perché abbassare il ritmo, ci chiediamo, di uno spettacolo che tiene svegli, stranamente, nel panorama piuttosto assonnato dell’arte teatrale italiana?