Chi ha paura di Virginia Woolf? Gioco al massacro sull’orlo della rivelazione

Antonio Latella si addentra con successo nelle profondità del dramma di Edward Albee, mettendo a nudo le debolezze e le paure insite in ogni relazione

Sono passati più di sessant’anni dalla prima messa in scena di “Chi ha paura di Virginia Woolf?” dello statunitense Edward Albee, ma il dramma rimane ancora oggi uno dei capolavori della letteratura teatrale del XX secolo.

Attraverso un allestimento essenziale e una performance attoriale di livello, Antonio Latella ha portato sul palcoscenico del Teatro della Pergola di Firenze l’intensa e complessa dinamica relazionale delle due coppie protagoniste. Il risultato è uno spettacolo graffiante e attuale, capace di cogliere l’essenza della pièce e di esplorare le dinamiche labirintiche delle relazioni umane attraverso un intenso gioco al massacro tra i quattro personaggi.

La trama ruota intorno al legame conflittuale tra George, professore universitario, e sua moglie Martha, figlia del rettore dell’università dove lavora George. La vicenda avviene tutta in una notte, dopo una festa a cui hanno partecipato anche Nick, un nuovo docente, e sua moglie Honey. Martha invita la coppia a casa loro per continuare la serata. Tra fiumi di alcol, flirt, scontri verbali, manipolazioni e ambiguità, emergono vecchie ruggini latenti e le loro illusioni finiranno per sgretolarsi sotto la luce pulsante della verità.

ph Brunella Giolivo

In questo modo, si scopre che entrambe le coppie condividono la situazione di non avere figli. Se Nick e Honey si sono sposati a causa di una gravidanza isterica, George e Martha hanno un figlio immaginario e il loro desiderio di averne uno reale è forse un modo per cercare di colmare il vuoto e le tensioni nella loro intimità turbolenta e distruttiva.
Un intricato intreccio di amore e odio, di dipendenza e dominio, di desiderio e disperazione.

Uno dei temi centrali dell’opera è appunto la disillusione che spesso accompagna le relazioni, puntando la lente sul matrimonio. George e Martha sembrano rappresentare una coppia che ha vissuto molte delusioni nella loro vita insieme, e che ora appaiono incapaci di comunicare in modo costruttivo. Il loro rapporto è basato sul rancore reciproco e sul desiderio di distruggersi a vicenda.

Il titolo si riferisce al passatempo immaginario che George e Martha interpretano nel corso del dramma. In questo gioco, i due mettono in discussione le loro stesse paure e vulnerabilità, esponendo debolezze e ricordi dolorosi.

ph Brunella Giolivo

Il titolo rappresenta quindi un punto interrogativo sull’angoscia e sulla paura che l’uomo prova nel confrontarsi con la verità di sé, con i propri limiti e con i propri errori. In questo senso, “Chi ha paura di Virginia Woolf?” rappresenta una metafora della ricerca della verità interiore e della difficoltà di affrontare la realtà.

C’è un lupo cattivo (wolf) che Albee ha volutamente malcelato dentro al titolo, che alimentandosi di alcol e apparenze, tra le risa, divora l’anima e fa paura.

La forza del testo di Albee, rinfrescato anche dalla nuova traduzione di Monica Capuani, risiede nella sua abilità di esplorare i temi della verità, della finzione e della disillusione, attraverso il linguaggio tagliente e crudele dei suoi personaggi. Il loro dialogo si trasforma in una sorta di gioco psicologico, in cui ogni parola e ogni azione ha una valenza specifica e rivela un aspetto nascosto della loro personalità.

I quattro personaggi, ben caratterizzati dagli attori, rappresentano alcuni archetipi della società americana degli anni ’60. George è un professore universitario frustrato dalla propria carriera, Martha è una donna forte e determinata, Nick è un giovane ambizioso in cerca di successo, mentre Honey è una giovane moglie fragile e insicura.

La regia di Latella, psicoanalitica e perturbante, si addentra nelle profondità della verità, mantenendo una tensione costante tra echi pinteriani e atmosfere che ricordano l’estetica di alcuni film di David Lynch. Come il perimetro della scena, delimitato da lunghi tendaggi di velluto verde, o gli elementi asettici che dominano il palcoscenico: una poltrona, dove George si siede durante i “giochi” mentali, una lampada che ricorda una grande lente indagatrice, un pianoforte al centro (non solo oggetto di scena), una divertente cassa audio “touch”, un armadio in legno (mobile bar e porta di uscita) e dei gatti in ceramica smaltata (aggiungono un’atmosfera surreale).

ph Brunella Giolivo

Una grande “stanza mentale”, dove tutto ha inizio, termina, e sembra proseguire, in un loop vorticoso indefinito. I personaggi ne escono centrifugati, ma in parte più consapevoli del pantano che li circonda.

Esemplare l’uso del sonoro e del pianoforte, suonato in momenti diversi dell’opera: dapprima per sottolineare l’inizio del gioco, e successivamente come strumento amplificatore di una “tempesta” beethoviana che travolgerà tutti i personaggi.

Ben orchestrati, i quattro attori che compongono le coppie scrutano impeccabilmente le diverse sfumature dei personaggi e i loro intrecci. Energico e corrosivo il George di Vinicio Marchioni (vero metronomo del dramma), isterica e vulcanica la Martha di Sonia Bergamasco, riflessivo e ambizioso il Nick di Ludovico Fededegni, mentre l’ingenua e labile Honey di Paola Giannini è di un’incantevole imprevedibilità.
Due i premi Ubu vinti, quello di Sonia Bergamasco, come migliore attrice e Ludovico Fededegni, come miglior attore under 35.

Come già accaduto per “Un tram che si chiama Desiderio”, anche in questa occasione Antonio Latella attinge con successo da un classico del teatro statunitense, che ha ottenuto gloria anche al cinema (nel 1966 Elizabeth Taylor e Richard Burton nei panni di George e Martha, in una delle migliori performance della loro carriera).

Nuovamente, con maestria, viene infusa energia e vitalità in un’opera che si rivela deflagrante e ipnotica, mantenendosi costantemente sull’orlo della rivelazione, lasciando molti interrogativi aperti sulla natura della relazione tra le coppie e sulla loro capacità di andare avanti insieme dopo la notte drammatica trascorsa.

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