
Si sta svolgendo in questi giorni al Museo Archeologico Nazionale di Napoli la 2° edizione del Festival MANN, una rassegna lunga 8 giorni durante la quale artisti di ogni genere (da attori come Carlo Verdone e Nino Frassica a webstar come i The Jackal) e studiosi si alternano sui palchi installati nelle splendide sale del museo per dare una nuova (e diversa) vita al luogo. Un programma fittissimo e non stop che prevede incontri mattina, pomeriggio e sera.
Lo scorso 22 marzo è stata la volta di Roberto Vecchioni, protagonista il giorno prima del dibattito Un incontro tra archeologia, poesia e musica insieme a Stefania Mancuso e Paolo Giulierini, che in una location magica, quale il Salone della Meridiana, si è esibito nel suo spettacolo dal titolo La vita che si ama.
Sul palco con lui un quartetto di musicisti eccezionali del calibro di: Lucio Fabbri, polistrumentista e direttore d’orchestra; Massimo Germini, chitarrista; Marco Mangelli, bassista e Roberto Gualdi, batterista.
Chiamare “concerto” lo spettacolo a cui le 300 persone presenti in sala hanno assistito sarebbe riduttivo, perché quello che Vecchioni fa fin dal primo momento è unire i due lati apparentemente così diversi ma nella realtà, in lui, profondamente connessi della sua vita, da un lato il cantante, dall’altro il professore di latino e greco, ruolo che ha sempre orgogliosamente rivendicato. E questo è ben chiaro sin dall’inizio.
Il suo ingresso sul palco lo fa spiegando che l’antico vive in noi e le sale di un museo devono essere un luogo vitale, non morto, un posto per ricordare (perché, come ci dice lui stesso, “monumento” viene dal latino “moneo” che significa “ricordare” appunto) e decifrare il presente e mentre ancora queste parole riecheggiano nell’aria ecco che attaccano le note di L’ultimo Spettacolo, seguita a ruota da Bandolero Stanco.
Il momento dopo è dedicato alle donne, a cui Vecchione dedica un discorso bellissimo, una sincera e universale dichiarazione d’amore per coloro che con forza, sensibilità e empatia sono le vere protagoniste dell’esistenza umana, affianco a loro l’uomo non può che camminare mantenendosi cauto, riconoscendo che c’è nel femminile un legame con la natura, con la terra che non si può paragonare a nulla e che è rappresentato dalla maternità (“…perché una mamma conosce il figlio 9 mesi in può del papà, lui che ha contribuito a quella nascita per mezz’ora… ma poi c’è anche chi non ci arriva a mezz’ora eh, c’è anche quello che contribuisce solo cinque minuti!”).
E dopo La mia ragazza, è proprio della mamma che ci parla, la sua in particolare, con la dolcezza di un figlio che non è riuscito a starle accanto alla fine, e su questo ricordo evidentemente ancora doloroso e vivido Vecchioni si commuove e chiede al pubblico un attimo prima di poter ripartire.
Lo spettacolo continua e il cantante incoraggia i giovani senza lavoro (Sogna ragazzo sogna), mostra la sua approvazione alle coppie di fatto spiegando che le nipotine hanno due mamme (come il titolo della sua canzone), spiega cos’è il mito (facendo rimpiangere a tutti di non aver avuto lui alle superiori come professore di greco), commuove raccontando il dolore di un padre che rischia di perdere il figlio (Le rose blu) e tutto ciò senza mai fermarsi, dandosi al suo pubblico senza sosta.
Vedere sul palco un uomo che a 75 anni riesce a trasmettere una tale voglia di vivere, di amare, di scoprire e di capire ti riempie il cuore, te lo scalda e ti dona vigore e serenità.
La chiusa arriva forte e violenta con una tripletta da lasciare stesi: prima Reginella, pezzo cult della canzone napoletana, poi Luci a San Siro (e se fino a quel momento qualcuno aveva miracolosamente tenuto i fazzoletti in borsa, ora non può non tirarli fuori) e alla fine Samarcanda, con un pubblico che molla le sedite e inizia a ballare sotto al palco.
Insomma dopo due ore e mezza di musica, lezioni di letteratura antica (e un po’ di grammatica latina), aneddoti e riflessioni si torna tutti a casa più leggeri, consapevoli di aver assistito a qualcosa di veramente unico e di essere stati di fronte non solo ad un grande artista ma anche ad un grande uomo.