
Si è svolta stamattina a Napoli, in coincidenza con il duecentottantesimo anniversario della nascita del Teatro San Carlo, presso la Sede della Sovrintendenza, una Conferenza Stampa per l’annuncio di una coproduzione internazionale tra il Massimo partenopeo e la Wiener Staatsoper che inaugurerà la Stagione 2018-19, a novembre del prossimo anno: Così fan tutte, terzo titolo della trilogia dapontiana di Wolfgang Amadeus Mozart, verrà messo in scena con un nuovo allestimento che si preannuncia straordinario, potendo contare sulla regia di Chiara Muti, le scene di Leila Fteita, i costumi di Alessandro Lai e la prestigiosa direzione del Maestro Riccardo Muti, segnando così il ritorno a Napoli, con un’opera lirica, del Direttore partenopeo. Nel corso dell’incontro napoletano, che ha visto la partecipazione di Rosanna Purchia e Paolo Pinamonti, rispettivamente Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro San Carlo, Dominique Meyer, Sovrintendente della Wiener Staatsoper, la regista Chiara Muti e la scenografa Leila Fteita, è stato sottolineato come l’importante Progetto chiuderà l’edizione 2018 di “Napoli Città Lirica”, fortemente voluto e sostenuto dalla Regione Campania, approfondendo il gemellaggio culturale tra Napoli e Vienna, con la messa in scena di un’opera come Così fan tutte, composta a Vienna ma ambientata nella Napoli che il compositore austriaco aveva ben conosciuto, avendo soggiornato nella Capitale partenopea nel 1770, ed essendo ben vivi e vitali i legami tra le due capitali della musica del Settecento.
Così fan tutte fu rappresentata per la prima volta a Vienna nel gennaio del 1790: per la critica romantica rappresentò solo la messa in scena di un cinico esperimento clinico, ad opera di un crudele e immorale scienziato, don Alfonso, complice la sua assistente di laboratorio Despina. Questa lettura, scorretta e fuorviante da ogni punto di vista, è ormai per fortuna del tutto superata. Occorre invece parlare – e la regista Chiara Muti più volte lo sottolinea nei suoi interventi – di spiritualità lieve e spensierata, di opportuna diversità nella visione del mondo e delle cose tra maschile e femminile, e un vero amante delle donne come Mozart certamente riusciva a cogliere, grazie alla sua intelligenza e sensibilità, il diverso approccio all’amore; in tal caso don Alfonso è da considerarsi “vecchio filosofo” di stampo illuministico, teso alla conquista della verità e del bene, risultando alla fine molto simile a Soroastro, perfino nell’asprezza del metodo. E sicuramente non è casuale la scelta di Napoli come ambientazione della storia, all’epoca non solo capitale d’un magnifico Reame, e indiscussa città della musica per antonomasia – “Vale più una scrittura al San Carlo che cento concerti in Germania” scriveva Mozart al padre – ma pure centro indiscusso dell’illuminismo italiano (residenza ideale di don Alfonso) ed epitome vivente del conflitto tra sensi e ragione che è alla base dell’opera.