
La Fondazione Donizetti, in occasione dell’omonimo Festival, ha commissionato questa rarissima opera di Gaetano Donizetti in una versione ricostruita e restaurata, che vuole rappresentarne la versione originale del 1834 di Firenze. Della Rosmonda ci sono pervenute infatti le pagine della versione napoletana del 1837, mai rappresentata, di cui esiste l’unica registrazione integrale.
Il lavoro di recupero della versione originale, una pratica che sta riscuotendo sempre maggior interesse da parte dei teatri (vedi la Madama Butterfly “restituta” della prossima Prima della Scala), si è basata sulle fonti coeve e su tutti i materiali autografi disponibili e solo in pochi e circostanziati casi ha dovuto fare affidamento sulla perizia del musicologo Alberto Sonzogni e del maestro Sebastiano Rolli. Il risultato è di assoluto e pregevole interesse.

Il libretto racconta una tra le tante leggende sulla figura di Rosmunda Clifford, qui Rosmonda d’Inghilterra, presunta amante di Enrico Plantageneto mentre questi sta per consumare il ripudio della moglie, la famosa e potente Eleonora d’Aquitania, qui Leonora.
A complicare l’intreccio si frappongono il padre di Rosmonda, il vecchio lord Clifford, e il giovane paggio Arturo, di lei innamorato incorrisposto.
Rosmonda è continuamente trascinata dal corso degli eventi, ingannata da Enrico e ricattata da Leonora, subisce il soverchiante universo del potere maschile, imperniato su punti d’onore che mortificano amore e libertà, impersonato dal padre. Rosmonda è l’unico personaggio che sa amare senza pretesti e che solo apparentemente muore per amor proprio, poiché è infatti l’amore filiale verso il padre e pure quello passionale verso Enrico, quello rispettoso verso Leonora e quello riconoscente verso Arturo, a condurla contro la lama della regina. Jessica Pratt interpreta molto bene il ruolo da primadonna umile e strappa uno strepitoso successo di pubblico grazie ad una tecnica belcantistica talentuosa.
Enrico, ingenuo, vile e arrogante, tradisce la moglie e inganna l’amante, ferisce l’orgoglio di Clifford e umilia il coro di cortigiani e nobili. Un re trascinato dalle passioni e sciocco, le cui inopinate azioni conducono necessariamente alla tragedia l’innocente Rosmonda. Nei suoi panni il tenore Dario Schmunck, a dire il vero poco esaltante.
Leonora, l’unico personaggio sempre al passo con gli avvenimenti, l’unica mente razionale e fredda, forse troppo per reggere i continui rovesci della sorte. Amareggiata dal contegno irrispettoso del marito non indietreggia di un passo, la sua sdegnata ira colpisce al pari Enrico e Rosmonda ma la sua mente politica è disposta a concedere un ruolo alla sua rivale nel proprio piano di rivincita sul marito. Gli eventi però precipitano e, prima dell’inevitabile esilio, non potendo maneggiare contro il re, il suo pugnale colpisce la misera Rosmonda. A vestire i panni di Leonora la straordinaria Eva Mei, asso impareggiabile dello spettacolo, eccezionale per timbro, tecnica, recitazione ed espressione, travolgente e coinvolgente sotto ogni aspetto.
Clifford e Arturo, che hanno amato sì Rosmonda ma che mai l’hanno ascoltata veramente e che mai ne hanno preso sinceramente e assolutamente le parti, possono solo piangere sulla propria inconsistente condotta. Clifford è stato il buon baritono Nicola Ulivieri, davvero molto bravo. Arturo, en travesti, la contralto Raffaella Lupinacci, notevole nel falso duetto con Rosmonda a metà del primo atto.
Il coro Donizetti da ottima prova di sé, in un crescendo di pathos e di espressività.
Ci è molto piaciuta la regia, nonostante la quantità di critiche ricevute.
Paola Rota si affida ad un’interpretazione metafisica che solletica la fantasia guidandola con singolari espedienti. A circostanziare gli spazi solo due pareti mobili ai lati, vagamente decorate a foggia di palazzo, che si avvicinano e allontanano suggerendo di volta in volta l’ampiezza o l’angustia degli ambienti nei quali muovono e cantano i personaggi e riuscendo a dividere un fuori e un dentro l’azione senza modificare l’impianto complessivo del palcoscenico.
Le tinte sono tutte fosche e tenebrose, la luce è sapientemente calibrata fra due fasci di luci molto bassi e soffusi ai lati della scena e i fari seguipersona che illuminano i cantanti. Il buio circostante non è opprimente, grazie al vuoto creato dall’assenza di quinte e fondali, e trasferisce il melodramma in un universo interiore senza tempo.
Concediamo una critica soltanto ai costumi di Massimo Cantini Parrini. Senza nulla da ridire alle vesti dei protagonisti, versioni oniriche e moderniste degli abiti medievali, sono sembrate deboli quelle del coro, buffi abbigliamenti da commedia in maschera, goffamente malcelati dall’omogenea tinta nera.
Ottima la direzione del maestro Sebastiano Rolli che ha guidato l’orchestra a memoria, segno di una padronanza e confidenza con lo spartito davvero intima e approfondita. L’Orchestra Donizetti ha eseguito con ineccepibile precisione e bravura, affidandosi al trasporto e alla delicatezza del giovane maestro Rolli.
Il pubblico ha risposto con caloroso entusiasmo e lunghi e sonori applausi a questo gioiello dell’opera italiana finalmente riscoperto in tutto il suo splendore.