L’Amadigi di Gaula riletta da Oksana Lazareva

Lo spettacolo complesso, dalla trama ambigua tra il serio, il sovrannaturale e l’amoroso approda al Piccolo Teatro Studio di Milano

[rating=3] Amadigi di Gaula di Handel, per la prima volta a Milano, approda al Piccolo Teatro Studio nella versione della regista Oksana Lazareva e del direttore Mirko Cristiano Guadagnini prodotta dall’Associazione Liederiadi.

Spettacolo complesso, dalla trama ambigua tra il serio, il sovrannaturale e l’amoroso, in cui politica, intrighi passionali e sortilegi magici si uniscono e si intrecciano sino al finale fatale.

La composizione del “caro Sassone” risale al 1715 e riscosse un certo successo almeno per una decade, scomparendo poi dalle scene europee fino alla sua riscoperta nel XX secolo. La versione allestita dalla Lazareva è una rilettura creativa, che taglia, cuce (e riduce!) l’opera adattandola ad un’interpretazione postmoderna.

Il titolo originario prendeva spunto dalle vicende di Amadis de Gaula, epico cavaliere medievale dei poemi iberici, spunto di numerose riprese romanzesche e, poi, teatrali ed operistiche.  Nella produzione dell’Associazione Liederiadi però non vi è affatto intento filologico e la bellezza dell’inconfondibile stile operistico handeliano è messa al servizio della trama reinventata. Non più il classico intreccio ad equivoci tipico dei canovacci all’italiana, volto a suscitare sorpresa e commozione senza posa, ma una rivisitazione del quadrilatero amoroso Amadigi-Oriana-Dardano-Melissa imperniata sull’idea che Amadigi, Melissa e Dardano siano i responsabili di un laboratorio militare di armamenti chimico-batteriologici e Oriana una giornalista militante pacifista che ne turba gli animi e gli equilibri. L’effetto è straniante e surreale, forse ben oltre le intenzioni registiche.

Il libretto di fatto viene in più parti stralciato e interpretato del tutto fantasiosamente. Un’attitudine ormai frequentissima nei registi, che giudichiamo negativamente solo quando è timida  incoerente: Oksana Lazareva ha dimostrato un’audacia intuitiva che ha aggredito l’opera organicamente, convincendo pubblico e critica.

Assenza di scenografia, costumi contemporanei, scene manipolate ad uso e consumo della regia, pochissimi elementi di scena e una pletora di attori e mimi nelle vesti di militari, giornalisti e medici. Luci sempre soffuse e un prologo recitato, del tutto interpolato, che introduceva il pubblico in medias res alla reinvenzione della trama.

Se alla Lazareva deve essere riconosciuto il merito di aver portato nella città meneghina un titolo affascinante quanto sconosciuto, seppure in un modo assai bizzarro, al maestro Guadagnini non si può non rimproverare un certo lassismo nella concertazione e nell’esecuzione.

Pur ammettendo, infatti, una rilettura irrealistica del capolavoro handeliano, comprenderne lo stravolgimento dell’impianto musicale ci è fin troppo impegnativo. La riduzione dei numeri musicali gratuita, l’esecuzione del tutto ammiccante al gusto moderno, pur con strumenti e diapason d’epoca, oltre ai troppi inciampi di orchestra e coro, ci sono sembrati eccessivi da sopportare. Una qualità musicale ancora molto perfezionabile, che si avvale di strumentisti in grado di sviluppare ulteriori e migliori potenzialità. Preferiamo senza dubbio il Guadagnini tenore al Guadagnini maestro concertatore.

Tripudio per le voci soliste, con sorprese di primissimo rispetto.

Applauditissima Francesca Sartorato, contralto, en travesti nei panni di Dardano, senza dubbio la voce più entusiasmante della serata. Timbro celestiale, tecnica notevole, espressività mozzafiato. Solo qualche sbavatura dovuta anche ai tagli della sua parte, del tutto perdonabile. Un’esibizione di primissimo rilievo: la Sartorato si è senza dubbio fatta notare tra la critica milanese, presente in gran numero allo spettacolo.

Eccellente Melissa, la soprano Rossella Giacchèro. Impegnata in una recitazione molto intensa, si è cimentata senza risparmio nel ruolo di megera fatale. Bellissima voce, con sfumature interessanti ben oltre il virtuosismo barocco, sostenuta da una tecnica ragguardevole. Debole soltanto qui e là in alcuni salti di registro. Molto bene l’Oriana della soprano Anna Carbonera. Particolarmente convincente a partire dal secondo atto, in cui ha dimostrato le qualità della sua voce e le potenzialità della tecnica. Meno spiccante l’esibizione di Oksana Lazareva, nel ruolo eponimo. La contralto siberiana si è più volte lasciata imbrigliare dalla dizione e non è riuscita a convincere per timbro, tecnica ed espressività. Forse piegata dal doppio ruolo di regista e cantante, la Lazareva non ha saputo esigere da se stessa la stessa qualità di cui ha fornito prova il resto del cast. Esibizione comunque degna di nota, sebbene piuttosto altalenante. Preciso, seppur brevissimo, l’intervento del tenore Manuel Epis, Orgando, impegnato in pochissime battute nel finale molto ben eseguite.

Poco convincente il coro, molto ampio: il colore disomogeneo, la distribuzione sulla scena assai spaziosa e alcuni veri e propri scivoloni, non ne hanno premiato la qualità. I cantanti diretti dallo stesso Guadagnini si sono esibiti in interventi in inglese interpolati allo spartito originale da brani di carattere spirituale e religioso dello stesso Handel. Un impegno notevole, a dire il vero poco comprensibile e dal risultato difficilmente inquadrabile che contribuisce ai nostri dubbi sulla qualità musicale complessiva di questo allestimento.

Bene i tanti attori e mimi impegnati nello spettacolo nelle vesti di militari, giornalisti, medici, infermieri, reclusi, ecc… nelle intenzioni della regia hanno contribuito efficacemente a riambientare e re-immaginare l’opera.

A conclusione dell’opera, nel ballo finale dopo i religiosi squilli di tromba, l’ambaradan festoso che ha coinvolto decine tra coristi, cantanti e mimi, si dissolve nel buio, lasciando sola al centro della spoglia sala del Piccolo Teatro Studio una bambina, illuminata da un fascio di luce. Forse un malinconico, e ironico, cenno autobiografico della regista, che ha raccolto un sentito e caloroso applauso.

Un Amadigi di Gaula prorompente, audace e coraggioso, allestito in autoproduzione finanziata perlopiù da contributi privati e con sponsorizzazioni pubbliche, che si è inserito nella poliedrica stagione di Liederiadi con grande profusione d’impegno. Di fatto, la musica del ‘600-‘700 sta tornando a interessare in sempre maggiore misura il pubblico milanese, e non vediamo l’ora di assistere al programma che questo autunno metterà in scena il promettente festival barocco Musicabilia.

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