
Ritorna al Festival Verdi 2024 il Macbeth verdiano nella versione francese del 1865, sotto la direzione musicale magistrale di Roberto Abbado e la cupa regia di Pierre Audi, in scena al Teatro Regio di Parma.
Questa versione del Macbeth, eseguita per la prima volta in forma scenica in tempi moderni, fa il suo debutto dopo la rappresentazione concertistica del 2020 al Parco Ducale, imposta dalle restrizioni della pandemia.
Nata dopo il debutto fiorentino del 1847 dall’esigenza di Verdi di rielaborare il dramma shakespeariano, affrontando nuove sfide drammaturgiche e musicali, la versione francese prese corpo grazie alla collaborazione tra Verdi, Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, un intellettuale di spicco del tempo. Sebbene Maffei non fosse un librettista professionista, il suo contributo permise di dare vita a una traduzione che preserva la forza poetica dell’originale, arricchendo il libretto con una nuova “tinta” musicale. Verdi, infatti, si spinse oltre il belcanto, introducendo tecniche espressive innovative come il “canto sussurrato” e un uso raffinato delle scale cromatiche e dei contrasti dinamici. Questo lavoro anticipa le concezioni del Gesamtkunstwerk, avvicinando Verdi a un’estetica simile a quella wagneriana, in cui musica, teatro e poesia si fondono per dare vita ad un’opera d’arte totale.

La regia di Pierre Audi ha offerto una visione lucidamente sobria, efficace solo per metà, che si è rivelata più incisiva nella seconda parte dell’opera, quando ha assunto tratti astratti e più intensamente drammatici. In un clima di tensione cupo e viscerale, il teatro nel teatro, mente e specchio della psiche umana, ha in realtà ristretto drasticamente il palco, reso ancor più minimal dall’uso ripetitivo delle sedie, elemento quasi di disturbo nel loro essere tolte e riposizionate sulla scena a intervalli più o meno regolari. Altrettanto poco incisivo l’uso della piattaforma al centro della scena, che si alza e abbassa all’occorrenza per far scomparire e comparire ora i protagonisti ora gli altri personaggi. Scenografie poco accattivanti, in parte migliorate dalle luci funzionali di Jean Kalman e Marco Filibeck, quelle di Michele Taborelli, se non nella più interessante seconda parte con le monumentali grate metalliche, a simboleggiare la trappola psicologica in cui i protagonisti si trovano invischiati, tra visioni fantasmatiche e labirintici sensi di colpa.
I costumi di Robby Duiveman, sospesi tra passato e presente, e le coreografie moderne di Pim Veulings hanno completato la messa in scena con punte di eleganza ed espressività.

La direzione di Roberto Abbado si è confermata di ottimo livello. La sua bacchetta ha saputo evocare atmosfere dense e avvolgenti, capaci di seguire con maestria il flusso musicale verdiano, rivelando un equilibrio perfetto tra tensione drammatica e morbidezza sonora. Sotto la sua guida, l’Orchestra Filarmonica Toscanini ha brillato per precisione e nitidezza sonora, mentre il Coro del Teatro Regio, preparato da Martino Faggiani, ha dato una prova intensa, soprattutto nell’esecuzione di “O Patrie! ô noble terre!” (la versione francese di “Patria oppressa”) e con le streghe, incarnazione dell’ambiguità più oscura della realtà.

Bella prova per tutto il cast. Ernesto Petti è stato un Macbeth tormentato e fragile, dalla voce ampia e flessibile adatta a rendere ogni sfumatura interiore del personaggio. Grazie alla sua naturale espressività e alla capacità di scavare nel fraseggio verdiano, Petti ha costruito un Macbeth dalla psiche intorbidita e sconvolta, introspettivo e profondamente complesso, senza mai scadere in eccessi interpretativi. Al suo fianco, Lidia Friedman si è rivelata una glaciale Lady Macbeth. Oltre a un’ottima tecnica vocale, caratterizzata da agilità e potenza, Friedman ha reso magistralmente la psiche contorta del personaggio, intrisa di malvagità sottile e scatti ferini. Intensa la sua performance nella scena del banchetto e nella delirante discesa nella follia.

A completare il cast, il nobile Banquo di Riccardo Fassi, lo squillante Macduff di Luciano Ganci e le discrete prove dei comprimari: David Astorga (Malcolm), Natalia Gavrilan (la Comtesse), Rocco Cavalluzzi (un médecin) ed Eugenio Maria Degiacomi (un serviteur/le sicaire/premiere fantôme).
Lunghi applausi da un accalorato e attento pubblico internazionale per la replica del 13 ottobre.