
Secondo titolo del cartellone areniano, Aida: e si è trattata della 684° rappresentazione nell’anfiteatro del capolavoro verdiano.
Aperto il giorno prima con Carmen (di cui assisteremo allo spettacolo del 29 giugno per riferirvi), il 96° Opera Festival 2018 della fondazione Arena di Verona, capitanato per la prima volta dal Sovrintendente Cecilia Gasdia, penso che davvero segni una rottura con quanto visto, ma sopratutto sentito negli ultimi anni sul più grande palcoscenico all’aperto al mondo. Il cartellone, infatti, schiera nei cast quanto di meglio si possa richiedere adesso per i ruoli principali e non solo: tanti i nomi di artisti emergenti di sicuro interesse e tanti quelli di ormai acclamata fama che ancora non avevano messo inspiegabilmente piede su questo palcoscenico. Questo infatti deve rappresentare arena: la possibilità per il pubblico, vasto ed eterogeneo, di incontrare su questo palco il meglio! Questo è stato nel passato, basta dare un rapido sguardo alle vecchie locandine per rendersene conto subito, e questo speriamo sia il futuro. Un grande “bravo!” quindi a Cecilia Gasdia, capace in poco tempo, di allestire un cartellone davvero degno dei migliori teatri. Vero, la stagione non elenca titoli “novità” per Arena (CARMEN, AIDA, TURANDOT, NABUCCO e BARBIERE più due GALA), ma finalmente qualcosa sta cambiando davvero (nuovissimo ad esempio l’allestimento di CARMEN per mano di Hugo de Ana) e ci auguriamo che si possano nelle prossime stagioni veder allestiti titoli di più rara frequentazione accanto ai celebri “colossal”.
E di opera-colossal certo sì può parlare se Aida viene rappresentata nell’allestimento di Franco Zeffirelli, targa 2002. Se volete vedere tutto, ma proprio tutto, quello che ci “deve” essere in Aida non resterete affatto delusi (ah! Una precisazione doverosa: mancano i cavalli veri e gli elefanti, ma per quelli proprio non c’era più spazio). Al centro campeggia una colossale piramide che ha il dono, ben raro in verità, di riuscire a rendere claustrofobico il palcoscenico più grande al mondo, già di per sé farcito di tutto l’Egitto che c’è. Ripeto, se cercate questo in Aida all’Arena, questo è il vero spettacolo areniano d.o.p., ma personalmente, visto che sono chiamato a dire la “mia”, lo spettacolo pur avendo momenti molto suggestivi purtroppo va poco oltre il didascalico: poco funzionale e molto ingombrante si viene spesso distratti dall’intima vicenda dal decoro che la circonda e alla fine di Aida resta poco o nulla. Persino la scena del trionfo risulta talmente sovraccarica da implodere e perdere un vero senso di “trionfo”. I costumi di Anna Anni sono d’altra parte magnifici, nella loro precisa caratterizzazione e nella ricerca dei materiali, ben si attagliano alle scene di cui ne completato il quadro.
Vero “fiore all’occhiello” di questa produzione è però la parte musicale: tanto per la prima, a cui abbiamo assistito e di cui riferiamo, quanto per le repliche.
Il maestro Jordi Bernàcer ha dimostrato quanto in realtà scorra nelle sue vene sangue verdiano. La lettura è lucida e ragionata: tempi asciutti e serrati portano la vicenda di Aida in primo piano scolpendone ogni singolo personaggio a tutto tondo. Non c’è tempo per “bellurie” orchestrali o vocali, tutto concorre alla narrazione senza trascurare i colori che hanno risuonato alla meglio rendendo omaggio così al grande Giuseppe Verdi. A sostenerlo in questa lettura sono stati l’ottima Orchestra e Coro (istruito da Vito Lombardi) dell’Arena di Verona.

Foto, Ennevi
Sul palco, in una stretta dialettica con la buca, sono stati schierati alcuni dei migliori esempi di canto verdiano che si potesse pretendere. A capitanare la compagnia di canto è stata sicuramente la magnifica Anna Pirozzi: la voce è solida, morbida e con un registro acuto lucente; la tecnica che si perfeziona di ruolo in ruolo sempre di più, le permette ormai di padroneggiare un ventaglio di dinamiche espressive impressionante. Ha dimostrato di sapersi davvero calare nei panni di Aida, ogni frase era viva: raramente ho sentito un “Cieli azzurri” o un “…patria, quanto mi costi!” così sentito, così proveniente dal di dentro. Davvero un’artista completa che sarà un piacere incontrare, sempre in arena nei panni di Turandot.

Accanto a lei serviva un vero Radames e Yusif Eyvazov non delude affatto. Il canto è sempre in progressione, l’impegno e lo studio stanno portando questo tenore ad essere una figura artistica molto interessante. Il canto è sorvegliato, attento a non sbavare mai mettendo in evidenza un naturale eroismo congeniale al ruolo. Sfaccettata anche l’interpretazione che alla fine risulta sensibile e partecipe: un ottimo Radames.
Nei panni della rivale Amneris bissa il capolavoro dell’anno scorso Violeta Urmana, nonostante la prudenza dovuta ad una improvvisa indisposizione della cantante, si è dimostrata un’autentica fuori classe arrivando a termine recita oltre le più rosee aspettative. L’esperienza e la caratura artistica, le hanno permesso nel corso della serata di prendere quota, raggiungendo il suo apice nella scena del giudizio. La voce sontuosa riesce a reggere il terribile ruolo regalando momenti di rara tensione drammatica.

Foto Enevi
L’interpretazione del baritono Luca Salsi penso abbia regalato finalemente al pubblico di Arena la vera lettura di Amonasro. Davvero ci troviamo con lui di fronte ad un vero re, troppo spesso infatti questo personaggio cade vittima di interpretazioni approssimativamente rozze. Luca Salsi mantiene una linea di canto elegantissima e altera ma scevra di quella violenta protervia cui si potrebbe facilmente scadere dando così una lettura fresca e dinamica del personaggio. Con tale Amonasro il duetto con Aida si è rivelato in tutta la sua sbalorditiva bellezza.
Completavano al meglio l’ottimo cast l’autorevolezza di Romano dal Zovo nei panni del Re, l’insinuante Ramfs di Vitalij Kowaljiow, la delicatissima e lunare bellezza della voce di Francesca Triburzi in quelli di Sacerdotessa. Efficace anche il messaggero di Antonello Ceron.
Buona la prova del corpo di ballo di Arena con menzione per le eccellenti prove di Beatrice Conte, Petra Conti e Gabriele Corrado impegnati nelle complesse coreografie di Vladimir Vasiliev.
Alla fine un meritato trionfo ha accolto tutti gli artisti al proscenio. Una dimostrazione che a fare davvero l’opera è prima di tutto la musica.