
Negli ultimi tempi l’interesse e l’attenzione per il cibo hanno dato il via a innumerevoli pubblicazioni, blog, programmi televisivi e reality sul mondo del food. Ma un manuale di scrittura enogastronomica redatto in italiano non c’era, fino ad oggi. Ci ha pensato la giornalista Mariagrazia Villa, esperta di comunicazione e insegnante allo IUSVE (Istituto Universitario Salesiano Venezia).
Il cibo negli ultimi anni è diventato, così come l’intestino, un simbolo di felicità e benessere, se salutare, se ben presentato e pubblicizzato. Proliferano i dibattiti e le pubblicità in stile “mangiar sano per star bene”, per questo il ruolo del food blogger, dell’influencer in ambito enogastronomico diventa sempre più difficile. La scritture necessita di creatività, di potere evocativo, proprio come un’immagine. E in questo contesto si inserisce Professione food writer.
Abbiamo incontrato l’autrice e le abbiamo rivolto qualche domanda.
Benvenuta Mariagrazia, ci dice qualcosa su di lei e sul suo percorso professionale? Anzitutto, grazie a lei per avermi proposto questa intervista! Poi, sintetizzare il mio percorso professionale non è semplice, perché ho un curriculum piuttosto variegato, come le coppe di gelato che mi piacevano da bambina: almeno undici gusti in due palline. Le lascio immaginare il nervosismo del gelataio… Ho una laurea in architettura, che mi ha lasciato la tendenza a ragionare in termini di progetto; una collaborazione ventennale, come giornalista culturale, con Gazzetta di Parma e altre testate locali e nazionali, che mi ha appassionato al piacere del racconto; un’esperienza di oltre quindici anni, come foodwriter, per uno dei più importanti gruppi alimentari italiani, che mi ha permesso di entrare nel mondo dell’enogastronomia; infine, la docenza universitaria in Etica e media allo IUSVE e in Giornalismo enogastronomico all’Università di Parma, che mi consente ogni giorno di riflettere sulle responsabilità che abbiamo, quando comunichiamo.
Perché proprio un manuale dedicato al food writing?
Ho deciso di scrivere un manuale dedicato alla food writing – come spiego nel libro, preferisco utilizzare la locuzione al femminile – perché i miei studenti del Master Food & Wine 4.0 – Web marketing & digital communication di IUSVE, nel quale insegno, da cinque anni, Sostenibilità agroalimentare e conscious eating e seguo il laboratorio di Food writing, continuavano a chiedermi di mettere nero su bianco quanto spiegavo. All’inizio non ho dato molto peso alla loro richiesta, poi, ho capito che forse avevano ragione: verba volant, a volte anche le slide volant, ma scripta manent.
Tutto ciò che scrive è basato sulla sua esperienza personale?
Sì, certo. Non solo credo che quanto si scrive debba essere testato, ma sono anche una delle food writer più prolifiche d’Italia e di esperienza ne ho accumulata parecchia: ho scritto 38 libri di cucina per Academia Barilla e le sette Guide dei Musei del Cibo della provincia di Parma, diretto un magazine online sul tema, gestito un foodblog e, dopo il libro Professione Food Writer. Ricettario di scrittura con esercizi sodi, strapazzati e à la coque (2018), ho curato, insieme con Maria Pia Favaretto, la collettanea di saggi Food & Wine Marketing 4.0 (2019). Insomma, nel mare della comunicazione dell’enogastronomia e dell’agroalimentare, sono un pesciolino che nuota da tempo e con una discreta agilità.
Quale è il suo piatto e/o ricetta preferita?
Appartengo a quelle persone che hanno un rapporto sentimentale con il cibo, per cui le rispondo: gli gnocchi di patate di mia nonna Bice. Anzitutto, perché volevano dire che era domenica, la mia famiglia riunita, e il calore dei cuori rinforzato – in particolare durante l’inverno – dalla zuppiera fumante e dalla nebbia che s’intravedeva in giardino. Poi, perché il sugo di pomodoro era impreziosito dalla cannella, che conferiva al piatto un sapore speciale e piuttosto insolito, per la cucina emiliana.
È il primo manuale in Italia con questi contenuti e con esercizi annessi?
Sì: è il primo manuale di questo tipo pubblicato in Italia, sia per quanto riguarda i contenuti teorici, sia per quanto riguarda gli esercizi pratici. Sino al mio libro, infatti, esistevano soltanto alcuni volumi in lingua inglese. Ho cercato di colmare una voragine, più che una lacuna: l’Italia è il Paese al mondo con più storia e ricchezza enogastronomica e, paradossalmente, non c’era nulla per chi volesse imparare a scrivere meglio nell’ambito del food & beverage…
Ha pensato di farlo tradurre in altre lingue?
Non ancora. Però, una traduzione in altre lingue sarebbe utile. L’obiettivo del volume è valido in ogni Paese, non si limita all’Italia: fare in modo che chiunque voglia diventare food writer o migliorare la propria professione, sotto l’aspetto della cura dei testi, possa trovare tanti utili suggerimenti e consigli testati sul campo.
Come si diventa food writer?
In tanti modi, anche molto diversi tra loro. Una persona può arrivare a scrivere di cibo e di vino da formazioni e percorsi professionali che nulla c’entrano con il cibo e il vino, com’è stato nel mio caso: l’arte di Vitruvio non si occupa di parmigiane di melanzane o dolci al cucchiaio… Il motivo di questa mancanza di causalità è presto detto: il cibo è tutto, come sosteneva il gastronomo francese Brillat-Savarin. Ogni essere vivente, indipendentemente da ciò che fa per vivere, si nutre e ha esperienza di questo godimento dei sensi e delle emozioni. Poi, è chiaro, che esistono anche scelte specifiche che possono formare un food writer, come frequentare corsi universitari e master in Scienze Gastronomiche o in Comunicazione in ambito food & beverage.
È una professione tipicamente femminile?
Direi che, nel settore delle professioni della comunicazione, sia quelle tradizionali che digitali, le donne sono in crescita. Penso alle attività giornalistiche, editoriali, di informazione e ufficio stampa, di pubblicità, di relazioni pubbliche e audiovisive. Sempre più di frequente chi comunica è una figura femminile, forse per determinate caratteristiche, come la propensione all’ascolto, alla ricerca e all’approfondimento, che ne definiscono l’identità di genere. Questo vale anche nel settore dell’enogastronomia e dell’agroalimentare: a produrre sono spesso uomini, ma a comunicare sono spesso donne.
Che valore dà al cibo e alla convivialità che ispira?
Nelle società industriali avanzate, il cibo non è nutrimento, ma simbolo culturale. E, dentro questa pienezza simbolica, spicca il valore della convivialità, del cum vivere, del vivere insieme. Gustare un piatto, non è solo condividere con l’altro l’emozione e il ricordo di quel cibo, ma anche appartenere a una comunità, come la famiglia, gli amici o i colleghi di lavoro (non a caso gli eremiti, avendo rifiutato la società, mangiano da soli), manifestare dei rapporti sociali e cementare dei legami, sia privati che professionali (i buoni affari si fanno a tavola…). Anch’io credo che il cibo sia fondamentalmente stare con gli altri. Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove per tradizione ogni occasione è buona per ritrovarsi a tavola.
Che messaggio vuole lanciare ai suoi lettori e ai giovani che vogliono avvicinarsi a questo mestiere? Ha un sito?
È un mestiere molto nutriente, sia in senso fisico che metaforico. Ma, come per qualsiasi attività, bisogna esserci portati. Tutti mangiamo, sì, ma non tutti possiamo fare i food writer. Occorre saper scrivere, coinvolgere il lettore, parlare a tutti i sensi, esprimere una voce originale, raccontare una storia, avere passione e profonda conoscenza del tema, entusiasmo per la ricerca, capacità critica, curiosità per il nuovo, accuratezza di linguaggio e capacità di cucinare. Infine, bisogna sviluppare un’attitudine etica nei confronti del cibo e del vino: prestare attenzione alla salute nostra e del pianeta è oggi diventato imprescindibile per chi voglia scrivere nel settore food & beverage.
Non ho un sito personale perché non avrei il tempo di seguirlo come vorrei. È possibile, però, che cambi idea. I miei studenti mi dicono che dovrei averlo, con tanto di blog, per aiutare chiunque abbia bisogno di suggerimenti o consigli di scrittura. Che si tratti di scrittura enogastronomica o di scrittura tout court. Chissà…