Mine: Fabio Guaglione si racconta

Intervista molto onesta e ricca di curiosità a uno dei due registi del film candidato a due David di Donatello

Il deserto, un uomo, una mina. La paura di compiere il prossimo passo perché potrebbe essere l’ultimo.  I registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro scuotono le coscienze del pubblico con un film ricco di suspense che utilizza la metafora di una mina antiuomo come simbolo di ostacolo, di paura ma anche come spinta verso un atto di coraggio che possa rendere un uomo libero. Candidato a due David di Donatello, il film ci mostra come, anche in uno spazio aperto, ci si possa sentire imprigionati in una cella interiore. Nel contempo ci fa riflettere su come una situazione di blocco possa paradossalmente dare un input, la giusta chiave, per evadere dalle proprie fragilità. I due registi lavorano magistralmente giocando tra flashback e déjà vu  conducendo lo spettatore verso un faccia a faccia con le proprie debolezze ma  anche con la propria forza, attraverso l’impeccabile interpretazione di un grande Armie Hammer.

Ne parliamo con uno dei due registi, Fabio Guaglione, in un’intervista molto onesta e ricca di curiosità.

Ciao Fabio, Mine ha riscosso grande successo. Senza falsa modestia, cosa vi aspettavate?

Non è semplice dirlo perché noi ci abbiamo lavorato tantissimo, per tre anni praticamente. Avevamo delle nostre idee ed aspettative ma in tutto quel tempo ti confronti solo con i produttori, il film non lo vede nessuno e non sai mai come sarà accolto da pubblico e critica. Eravamo speranzosi, certo,  ma più si va avanti e più ci si rende conto di quanto il cinema sia complesso.

Parlami un po’ della genesi del vostro progetto.

Volevamo sviluppare l’idea per un film interessante, che costasse poco e che potesse attrarre un produttore. Pensavamo di bloccare un personaggio in una sola location senza però chiudere qualcuno dentro qualcosa, anzi siamo andati nella direzione opposta bloccando qualcuno in uno spazio completamente aperto e lo stratagemma per bloccarlo era una mina. In un certo qual modo anche noi eravamo bloccati perché non riuscivamo a fare il passo nel campo minato che è il mondo del cinema  e questi due aspetti hanno contribuito a creare il tutto.

C’è qualcosa di voi in Mike Stevens?

Tutti noi soffriamo la difficoltà nell’affrontare le paure di ciò che possa accadere. Abbiamo fatto questo film mettendoci in parte noi stessi anche perché volevamo esorcizzare un po’ la difficoltà di fare il “passo” nella vita. Infatti riguardandolo durante le varie fasi della lavorazione, mi emozionavo molto e sembrava che il film parlasse a me nonostante lo avessi fatto io e nonostante lo conoscessi a memoria.

Studiare così profondamente la psicologia di un personaggio non è da tutti.

Noi ci siamo un po’ rifatti ad archetipi ed una delle maggiori difficoltà è stata quella di avere un personaggio immobile che però “raccontasse” una vicenda. Ci siamo occupati molto dei lati simbolici. Per qualcuno può essere solo un personaggio sulla mina, invece ci sono diversi livelli interpretativi  che forse possono essere compresi guardando e riguardando più volte il film, anche a livello subliminale. Mentre Armie ha fatto proprio un lavoro di ricerca psicologica parlando con marines o con psicologi e si è addentrato di più in questo senso. Noi abbiamo creato Mike Stevens come una specie di involucro attraverso il quale il pubblico avrebbe potuto immedesimarsi.

Il déjà vu della mano e il passo avanti. Qualcosa di molto fisico per esprimere qualcosa di molto spirituale.

Il passo avanti è nato come metafora perché quello che accadeva nel deserto era in realtà il riflesso di ciò che accadeva dentro Mike, quindi il timore di compiere un passo decisivo nella vita. Mentre per il discorso della mano ci è piaciuto giocare con degli stati spazio-temporali quasi come dimensioni parallele. Noi trattiamo i suoi ricordi non come dei semplici flashback ma come un qualcosa in cui la sua coscienza si sta formando e quando alla fine fa crollare le sue barriere culturali, psicologiche ed emozionali è come se aprisse la mente ad un flusso tale di informazioni non più appartenenti al passato, presente o futuro. Quando lui si guarda la mano durante le prime allucinazioni, quando sta pitturando la stanza e dopo che è stato colpito è come se in realtà fosse un unico momento: già vissuto, attuale e ancora da vivere. Questo è uno di quei livelli del film in cui solo chi vuol scavare arriva, mentre gli altri magari vedono solo un soldato che sta avendo delle allucinazioni.

Il film è stato candidato a due David di Donatello ma non c’è stata una vittoria.

C’è chi dice che i premi non significhino nulla ma io non sono completamente d’accordo. I premi secondo me sono come la carezza di un padre, fanno bene, ti fanno capire che stai andando nella direzione giusta e riceverne uno è un riconoscimento da parte di persone qualificate. E’ una cosa bella per cui io, nella mia onestà, non nego di esserci rimasto un pochino male perché pensavo che come l’anno scorso, con la vittoria di “Lo chiamavano Jeeg robot” e poi le nominations e le vittorie di “Veloce come il vento”, si iniziasse a premiare qualcosa che andasse verso un nuovo modo di fare cinema italiano. Non dico tante nominations o tante vittorie ma considerando il film che abbiamo fatto, il successo che ha avuto, la sfida di avere un personaggio immobile e il fatto di aver lavorato con attori americani, pensavo che sarebbe arrivato almeno il premio come miglior regia esordiente. Il premio non è arrivato, nel giro di 30 ore ho smaltito la delusione e si va avanti.  Anzi è stato bello perché è arrivata un’ondata di persone che ha amato il film e mi ha ricordato il fatto che fosse arrivato così fortemente al pubblico.

Forse Mine è un film poco italiano?

Secondo me no, lo è molto invece. Forse non all’inizio ma più si va avanti e più diventa europeo. Infatti le recensioni americane non sono tutte positive ed è molto melodrammatico nel senso europeo del termine.

Quali sono le critiche che condividi e quelle che non condividi?

Tra le critiche americane ce ne sono alcune positive ed altre che sembrano massacrare il film in modo un po’ gratuito, di qualcuno che dimostra anche di non averne capito bene il senso . Tra le varie cose dicono che non abbia un significato o che non tratti accuratamente i traumi dei soldati americani che ritornano in patria…

Decisamente superficiale direi.

Già, chiedere qualcosa in più non guasterebbe. Io invece adesso, guardandolo in modo un po’ distaccato, concordo sulle critiche lette sulla parte iniziale. La trovo poco originale, non è brillante e forse può dipendere in parte anche dal budget che avevamo a disposizione ma ovviamente chi guarda un film non si chiede questo. Forse a tratti è un po’ immatura. Se potessi tornare indietro forse lo accorcerei un po’ ma non saprei dire in quali punti.  Inoltre c’è tutto un aspetto critico che capisco e che ci aspettavamo, ad esempio sul background del personaggio. Estremamente semplice per un messaggio altrettanto semplice ma noi abbiamo cercato di fare un film per il pubblico e quindi “pop” per cui secondo noi era giusto cercare, con simboli e codici, di provare a rappresentare un qualcosa in cui tutti avrebbero potuto immedesimarsi. Avere un padre violento, non sentirsi all’altezza o bloccarsi può voler dire mille cose. Quindi abbiamo scelto questi codici per ottenere un film che funzionasse emozionalmente e almeno con il pubblico italiano sembra che abbia funzionato. La gente si è emozionata, ha pianto, si è commossa .

Quando guardi un film ti lasci travolgere o ne osservi il lato tecnico?

In realtà io analizzo sempre.

Nei tuoi desideri, con quali attori ti piacerebbe lavorare in futuro?

Dipende dal budget (ride). Se fosse un lavoro italiano direi Pierfrancesco Favino o Claudio Santamaria mentre se fosse un lavoro internazionale, Bradley Cooper o Denzel Washington. Ovviamente so che sono nomi enormi !

Rimanere con i piedi per terra o sognare in grande?

Rimanere con i piedi per terra per sognare in grande!

Hai un genere di film che prediligi?

Non precisamente. Un po’ come con la musica o il cibo. Mi piacciono i film le cui atmosfere ti trasportano altrove, nel loro mondo.

Cosa pensi dei remake? Ne realizzeresti mai uno?

Non credo. In generale penso che possano funzionare se è passato tanto tempo da esserci una rivoluzione tecnologica o un altro modo di realizzare quel concept. Al giorno d’oggi c’è un abuso di questa pratica anche attraverso le serie tv.

Se tra vent’anni realizzassero il remake di Mine?

Sarei  molto curioso di vederlo. Sarebbe una cosa totalmente fuori dal mio controllo. Immagino una versione tutta americana senza flashback, senza miraggi, con un soldato sulla mina (ride)

Credo ci voglia anche una buona dose di sensibilità per comprenderlo appieno.

Ho letto delle critiche in cui vedevano praticamente solo l’uomo lì sulla mina. E’ demoralizzante.

Passato, presente e futuro. Definiscili con una sola parola.

Passato direi faticoso. Presente… promettente. Se però capisco che promesse fare perché poi io le promesse le mantengo. Futuro (fa una lunga pausa) sto aspettando.

Devi fare il passo.

Devo fare il passo.

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