Il matrimonio segreto ovvero sei personaggi in cerca d’una rivoluzione elegante

Dopo trent’anni il Teatro San Carlo, con i giovani della sua Accademia di Canto Lirico, rimette in scena il capolavoro di Cimarosa

Il matrimonio segreto - © Teatro San Carlo - ph Luciano Romano

L’appuntamento di stasera al Teatro San Carlo di Napoli è piuttosto particolare: per la prima volta sulla scena del vetusto teatro partenopeo sono i giovani Allievi dell’Accademia di Canto Lirico che, a coronamento di un percorso formativo iniziato due anni fa, si presentano al pubblico con un vero allestimento. È un progetto fortemente voluto dall’allora Sovrintendente Stéphane Lissner e portato avanti in questi anni da Ilias Tzempetonidis, Casting Director del Teatro e attuale Direttore Artistico in attesa della nomina per nuovo sovrintendente: docente principale è stato finora il soprano Mariella Devia, un nome di primissimo piano dell’arte lirica, che lascerà il posto, per il prossimo biennio, ad altrettante star quali Maria Agresta, Luca Salsi e Michele Pertusi.

Così, suddivisi in due cast, i dodici Solisti dell’Accademia si alternano nelle sei recite in programma: stasera e poi il 13 e il 15 giugno abbiamo sul palcoscenico Yunho Eric Kim (Geronimo), Anastasiia Sagaidak (Elisetta), Maria Knihnytska (Carolina), Sayumi Kaneko (Fidalma), Antimo Dell’Omo (Il conte Robinson) e Sun Tianxuefei (Paolino), mentre il 12, 14 e 17 giugno ad interpretare i sei ruoli previsti saranno Sebastià Serra (Geronimo), Tamar Otanadze (Elisetta), Désirée Giove (Carolina), Antonia Salzano (Fidalma), Maurizio Bove  (Il conte Robinson) e Francesco Domenico Doto (Paolino). Ma la rappresentazione che debutta stasera offre anche altri motivi di interesse, non meno importanti: a dirigere l’Orchestra del Teatro San Carlo è Francesco Corti, per la prima volta nel nostro Teatro, mentre la regia è affidata a Stéphane Braunschweig, figura centrale della regia teatrale e operistica contemporanea europea,  formato alla École normale supérieure e successivamente al Centre national du théâtre.

Un nuovo allestimento importante, dunque, prodotto dal Massimo partenopeo, per un’opera altrettanto rilevante che appartiene alla Storia del teatro non solo musicale di questa Città, Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, esponente di spicco della Scuola Napoletana e che mancava qui da noi da ben trent’anni: un tempo decisamente troppo lungo, quasi una ferita che questo importante appuntamento tenterà, se non di sanare, quantomeno di curare, lenire, medicare. Perché, composta nel 1792, quest’opera è il capolavoro comico del figlio aversano dell’operaio e della lavandaia che diventò, grazie al suo genio, uno dei maggiori compositori operistici italiani del tardo Settecento: correndo appresso alla sua fama e alla richiesta di tutta l’Europa era finito, in quell’ultimo squarcio di secolo, a fare il maestro di cappella a San Pietroburgo.

Dopo tre anni, un po’ perché stufo del gelo di quelle latitudini, un po’ a causa dei soliti tagli al bilancio che come sempre colpiscono teatri e cultura, se ne venne di lì e, in viaggio per Napoli, si fermò prima a Varsavia e poi a Vienna, città dove Mozart aveva messo in scena sei anni prima le sue Nozze di Figaro, opera che, per certi versi, molto si avvicina al capolavoro del napoletano. L’opera debuttò il 7 febbraio 1792 al Burgtheater di Vienna, su commissione dell’imperatore Leopoldo II, che – assicura una poco credibile leggenda – ne fu talmente entusiasta da volerla ascoltare una seconda volta la stessa sera, evento eccezionale nella storia della musica.

Come Le nozze di Figaro e La locandiera goldoniana, l’opera di Cimarosa è impregnata di valori illuministi: razionalismo, riformismo, critica dell’ipocrisia sociale; il termine stesso di dramma giocoso – se non inventato certamente diffuso universalmente da Carlo Goldoni – indica che la vecchia opera buffa di derivazione plautiana non serve più a questa classe che frequenta teatri e compra opere d’arte, occorre qualcosa che, sotto la tenue vernice del trastullo innocente, sappia risuonare ben più profondamente, rinfocolando speranze, diffondendo un diverso punto di vista, una differente dignità del vivere. Il finale – un happy end che vede prevalere l’amore e l’equilibrio familiare – esprime un’utopia conciliatrice tipica della borghesia riformatrice, cambiare l’ordine sociale senza sovvertirlo con la violenza, immaginando una convivenza tra classi su nuove basi.

Il matrimonio segreto – © Teatro San Carlo – ph Luciano Romano

Naturalmente, intendiamoci, qui non c’è alcun Beaumarchais né alcun Da Ponte, soprattutto Cimarosa non è né Mozart né Goldoni: rispetto alla violenta irruzione della coscienza borghese e servile nel cuore dell’ancien régime, politica nella forma e nel contenuto, Il matrimonio segreto è più discreto, moderato e intimista, anche se non meno significativo sul piano ideologico. Non c’è conflitto diretto tra servi e padroni, ma una borghesia (Geronimo) che vuole diventare aristocrazia e una figlia (Carolina) che rifiuta questa logica, la nobiltà (Conte Robinson) è ridicolizzata come superficiale e interessata, alla fine, l’amore autentico (tra Carolina e Paolino) viene riconosciuto e accettato, ma solo dopo la mediazione di un’autorità paterna che si aggiorna e si adatta.

Sottolinea tutti questi aspetti, la regia di Stéphane Braunschweig, (ri)costruendo, attraverso le scene da lui stesso disegnate, la casa in città del signor Geronimo come astratto e levigato rincorrersi di muri politi e tersi che non posseggono finestre, solo si delineano, dall’interno, sulle superfici, per ogni altro verso immacolate e intatte – ne noti con difficoltà il contorno appena accennato – porte che danno accesso a vari appartamenti che quella casa vanno componendo: e certo quelle porte, pur nella loro essenzialità e razionalità, dall’apparenza così inerme e discreta, son richiamo a ciò che sarà quel dramma giocoso nell’evolversi del tempo che verrà, il vaudeville e Feydeau, permettendo agli abitanti di quel mondo di comunicare ma pure di tacere, di entrare e anche di fuggire, custodendo nel silenzio segreti e voglie, vizi e virtù, desideri e ambizioni.

Viene guidato, l’occhio nostro, allora, attraverso il dipanarsi silenzioso e sicuro di quelle candide mura, in un continuo movimento di apertura di pareti e di stanze, nell’alternarsi di pieni e di vuoti, il bianco degli intonaci opponendosi al nero assoluto dei tramezzi e dei corridoi, in una accentuata suddivisione degli spazi interni ed esterni – questi ultimi contrastando il pallore degli interni con una molto sobria tinta cenerina e un accenno appena più deciso ad una elegante boiserie – in una molteplicità di sottospazi in cui prevalgono le linee rette e nel quale la razionalità e la concretezza del presente continuamente specchia il proprio limite in una perdurante nostalgia del passato, visione cui si oppone decisamente il nuovo che nasce.

Sembra essere questo, dunque, il senso di questo allestimento, in linea in fondo con la musica bella e accattivante del mancato rivoluzionario Cimarosa: se è giusto che il mondo che si reggeva su quei valori ormai decrepiti venga sovvertito, che questo avvenga con armonia ed eleganza, così che i tanti elementi di novità, che pure ci sono, si armonizzino alla fine in un quadro d’insieme col passato. Dichiaratamente a questo fine gioca anche il raffinato divertissement dei costumi, dovuti all’estro creativo di Thibault Vancraenenbroeck, che i personaggi indossano in bilico continuo tra contemporaneità e tempo della rappresentazione, la fine del secolo dei lumi dell’Autore e il secolo breve delle nostre costanti incertezze.

È una elegante, raffinata pazziella, questa dei costumi, che colloca i sei personaggi in cerca d’una storia e d’una geografia da vivere in un continuum spazio temporale che va dal Conte Robinson, congelato per l’eternità in redingote e culottes, a Carolina, dall’inizio alla fine in jeans bianchi e sneakers: tutti gli altri personaggi, che iniziano con abiti del nostro tempo presente, si lasceranno “contagiare” dai modi e dai valori – o disvalori – del nobile Robinson, assumendo anch’essi un abito di facciata, di rappresentanza, di fede in quei principi e idealità che, a ben vedere, sia detto en passant, ben poco rispondono al nostro contemporaneo sentire.

Il matrimonio segreto – © Teatro San Carlo – ph Luciano Romano

Così, finisce per apparire bacato d’invadente bullismo all’occhio nostro il fervore amoroso del Conte Robinson (un Antimo Dell’Omo che ben sa mimare l’arroganza e la protervia d’un autentico villain) che reclama possesso più che amore, una proprietà da comprare più che una donna da corteggiare; così anche l’amoroso signor Geronimo (che con autorevolissima voce ci viene presentato da Yunho Eric Kim) si dimostra per quel che è, più che personaggio da burletta padre padrone molto molto attento a certi “valori”, lo sconto sulla dote, la minaccia della sorella di portar via la sua parte dal partimonio da lui amministrato finiscono per (ri)portarlo sulla strada del più vieto paternalismo. È come se il cambiar d’abito corrispondesse ad una sorta di regressione, un insistito sguardo all’indietro che inevitabilmente avviluppa uomini e cose, semina discordia, divide il tavolo del banchetto della festa di fidanzamento in due, fino a farci sembrare tristemente familiare il confronto tra i due suddetti personaggi, nel secondo atto, in tutto simile ad annosi e inconcludenti trattative di pace tra opposte fazioni in guerra come purtroppo se ne vedono in giro per questo mondo.

D’altra parte la metamorfosi riguarda pure i personaggi femminili: se Elisetta (Anastasiia Sagaidak infonde giovanile grazia e bellezza al personaggio, di suo, invece, piuttosto puntuto), abbagliata dalla prospettiva di sposare il conte, non può fare a meno di vedere malizia nell’incolpevole atteggiamento della sorella, pure la zia Fidalma (ha la gradevole voce e la bella presenza scenica di Sayumi Kaneko), da adulta qual è, piuttosto che cercare di metter pace in famiglia si mette in gioco decisamente, innamorata del povero Paolino.

E lui (l’interprete Sun Tianxuefei rivela bella e chiara voce ben impostata, gesto sicuro e piglio da attore consumato) non trova di meglio che svenire sul più bello di fronte alle inaspettate profferte amorose dell’attempata Fidalma: del resto è il personaggio che la regia vede, non senza ragione, a metà tra tradizione e rinnovamento, per un po’ vestirà anch’egli la marsina, pur conservando moderni pantaloni, poi tornerà agli abiti moderni, preparandosi a fuggir con Carolina.

La quale (protagonista assoluta della serata, è facile prevedere un grande avvenire per Maria Knihnytska: voce piena e ben proiettata, notevole presenza scenica, gesto misurato e sempre appropriato, ha saputo centrare – in quella che, credo, sia la sua prima esperienza da protagonista in un gran tempio della lirica internazionale – con rara perfezione un personaggio da poter interpretare con assoluta credibilità), rappresentando il polo “rivoluzionario” dell’opera, riesce alla fine a trionfare: metafora trasparente e un po’ scontata, come dicevamo, della fede dell’Autore in una sorta d’armonia che regge il mondo, conducendola attraverso la storia verso magnifiche sorti e progressive.

Qui non si rovescia il tavolo, non si accompagna qualsiasi rivoluzione ma si ricompone l’ordine in modo nuovo, accettando il valore borghese della sincerità e del merito: questo spiega l’accoglienza favorevole della nobiltà verso quest’opera, il cui epilogo, piuttosto che precorrere assalti alla Bastiglia indica invece una sorta di ben più tranquillizzante omnia munda mundis, il che non toglie nulla, si badi, a quelle che potrebbero essere le autentiche intenzioni dell’Autore che, lasciata Vienna e tornato nella sua Napoli si lascerà coinvolgere nella rivoluzione giacobina della Repubblica Napoletana, componendo musica rivoluzionaria – che purtroppo non ci è rimasta – e finendo in galera con la Restaurazione borbonica e poi all’esilio.

La sua musica ha risuonato ancora stasera, qui a Napoli, sotto la direzione misurata e illuminata di Francesco Corti, che ha diretto una magnifica prestazione dell’Orchestra del Teatro San Carlo che non ha perso un colpo: dirigendo senza bacchetta, a mani nude, riesce a riportare in vita – e che vita – questa macchina da musica che ha più di due secoli ridonandole freschezza nuova e privilegiando, dal punto di vista musicale, l’eleganza melodica e la chiarezza formale. Si costruisce allora man mano, sotto i nostri occhi, un delicatissimo equilibrio perfetto tra grazia melodica, brillantezza orchestrale e chiarezza teatrale in cui la resa vocale è estremamente raffinata e mostra una padronanza totale del linguaggio classico: il Maestro, noto e provetto clavicembalista, accompagna lui stesso i recitativi, mentre le arie sono caratterizzate da linee cantabili, ornamentazioni eleganti ma mai eccessive, con grande attenzione alla caratterizzazione psicologica.

E tutto questo crea, alla fine, un’atmosfera di grande e portentosa levità, che noi (ri)scopriamo profondamente moderna perché centrata sulla soggettività e sulla mediazione sentimentale. Leggerezza che, si badi, non è superficialità ma, come diceva Calvino, sapienza nel cogliere l’essenziale, rinunciare al superfluo, toglier via, per quanto possibile, macigni dal cuore: è ciò che abbiamo visto e vissuto stasera, dove alcuni talentuosi musici, un regista con una visione nel cuore, un pugno di giovanissimi professionisti di grande capacità e generosità hanno saputo farci il gran dono di una serata come questa, rispecchiando noi stessi nelle vicende di duecento anni fa, saper ridere dei difetti nostri, delle nostre più che altro immaginare virtù, in pace e serenità. E non mi par poco.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Direzione
Solisti
Orchestra
Scenografia
Costumi
Pubblico
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il-matrimonio-segreto-ovvero-sei-personaggi-in-cerca-duna-rivoluzione-eleganteIl matrimonio segreto <br>di Domenico Cimarosa <br>Direttore, Francesco Corti <br>Regia e scene, Stéphane Braunschweig <br>Costumi, Thibault Vancraenenbroeck <br>Luci, Marion Hewlett <br>Geronimo, Yunho Eric Kim <br>Elisetta, Anastasiia Sagaidak <br>Carolina, Maria Knihnytska <br>Fidalma, Sayumi Kaneko <br>Il conte Robinson, Antimo Dell’Omo <br>Paolino, Sun Tianxuefei <br>Solisti dell’Accademia di Canto lirico del Teatro di San Carlo <br>Orchestra del Teatro di San Carlo <br>Nuova produzione del Teatro di San Carlo <br>In scena dal 11 al 17 giugno 2025 <br>Opera in italiano con sovratitoli in italiano e inglese <br>Durata: 3 ore circa, con intervallo <br>Napoli, Teatro di San Carlo, 11 giugno 2025